La Riforma dello Sport a partire dalla base e dalle persone
Un ciclo di sei incontri sulla Riforma dello Sport avanzata dal governo. È quanto propone lo CSEN (Centro Sportivo Educativo Nazionale) – all’interno del progetto Odiare non è uno sport – per approfondire il tema dal punto di vista delle persone che ogni giorno lavorano nei luoghi dello sport. Mentre il dibattito mainstream si è per lo più concentrato in questi mesi su temi di “vertice”, come il limite ai mandati dei presidenti federali, il contributo dello CSEN vuol andare nella direzione di tornare al valore sociale dello sport, a partire dalla base.
Il ciclo di incontri, dal titolo “La riforma dello sport. Il punto di vista di chi vive lo sport centrato sulle persone, a favore dell’integrazione sociale, per conoscere e contrastare l’hate speech” (al fondo dell’articolo il calendario completo), parte lunedì 28 settembre a Perugia, toccando altre cinque città: Verona, Torino, Catania, Roma e Udine. Gli incontri saranno trasmessi sulla pagina Facebook di Odiare non è uno sport. A seguito dell’aggravarsi dell’emergenza sanitaria, a partire dal secondo incontro sono stati integralmente spostati su piattaforma online, a distanza.
Lo CSEN, spiega Andrea Bruni, Responsabile Ufficio Progetti Nazionale dell’Ente di promozione sportiva, “concepisce lo sport come attività volta a favorire il benessere delle persone e quindi vede in esso prima di tutto un intento e una finalità sociale. A differenza delle Federazioni, che curano maggiormente le eccellenze sportive. Nel contesto della Riforma dello Sport, la discussione per ora si è molto concentrata su cosa cambierà per i vertici e per i dirigenti, ma ha lasciato in sospeso le altre problematiche. Per esempio non si è parlato di chi fa dell’attività sportiva il suo lavoro, che non ha un contratto nazionale di riferimento. Oppure dell’approccio educativo che lo sport deve avere con i minori”.
Negli incontri però si affronteranno anche i temi dell’integrazione sociale, della lotta alle discriminazioni e dello sport integrato, ossia “dell’attività sportiva che mette insieme persone con disabilità e persone non disabili, con regolamenti nuovi. Un tema interessante – prosegue Bruni – perché aggancia le problematiche legate al ruolo che ogni sportivo può avere nel contesto di origine e il contributo che ciascuno può dare a livello individuale su obiettivi collettivi, se messo nella miglior condizione per esprimersi”.
Di seguito l’elenco dettagliato degli appuntamenti:
PERUGIA lunedì 28 settembre 2020 / ore 17.30 Sala Trinci – Centro Congressi Capitini – Via Centova 4
PIEMONTE venerdì 6 novembre 2020 /ore 9.30 – diretta FB con Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti Gianluca Carcangiu – Presidente Regionale CSEN Piemonte Ilaria Zomer – Formatrice presso il Centro Studi Sereno Regis Ivana Nikolic – Ballerina professionista, attivista – artista ed educatrice Barbara Costamagna – Psicologa e Psicoterapeuta
ROMA venerdì 13 novembre 2020 / ore 9.30 – diretta FB con Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti Henrika Zecchetti – Presidente Comitato Provinciale CSEN Roma Elisa Nucci – Responsabile Progetti COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo Antonella Passani – sociologa e membro di IntegrArte Leonina Benigni – educatrice Professionale
FRIULI VENEZIA GIULIA sabato 14 novembre 2020 / ore 9.30 – diretta FB con Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti Giuliano Clinori – Presidente Regionale CSEN Friuli e Vice Presidente Nazionale CSEN Sara Fornasir – Responsabile del Progetto Odiare non è uno Sport – Referente CVCS Eva Campi – Referente Parole Ostili
VENETO sabato 21 novembre 2020 / ore 10.00 – diretta FB con Giacinto Corvaglia – Comitato Provinciale CSEN Verona Marina Lovato – Formatrice Ufficio Educazione e Cittadinanza Attiva – ProgettoMondo Mlal Andrea Bruni – Responsabile Nazionale CSEN Progetti Stefano Pratesi – Formatore esperto in gestione dei conflitti e diritti umani Paola Caruso – Referente Regionale Calabria CSEN Sport Integrato
Ginocchio a terra e pugno alzato al cielo. Il gesto simbolo dell’ondata di proteste partita dagli Stati Uniti, in seguito all’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto bianco a Minneapolis, è arrivato anche sui campi di calcio. Il gesto compiuto dal bomber neroazzurro Romelu Lukaku, al decimo minuto di Inter-Sampdoria, al rientro al calcio giocato dopo oltre tre mesi di stop a causa dell’emergenza coronavirus, ha riempito le prime pagine dei giornali e le bacheche dei social. Scatenando una marea di commenti. Prima di lui allo stesso modo aveva esultato anche Nicolas Nkoulou, difensore del Torino, andato in rete sabato contro il Parma.
di Ilaria Leccardi
Molti sono stati i commenti di sostegno e apprezzamento del gesto, ma anche tanti, ancora troppi, quelli che sono andati ben oltre la critica, conditi da insulti e veri e propri attacchi alla persona, alla squadra e in generale al movimento Black Lives Matter.
La fotografia del gigante neroazzurro è stata ripostata dai profili social dell’Inter con la scritta Black Lives Matter e gli hastag #BrothersUniversallyUnited#NoToDiscrimination , e da quelli del giocatore che ha scritto: “Questo è per tutte le persone che lottano contro l’ingiustizia. Io sono con voi”.
This one is for all the people who’s fighting for injustice. I am with you ✊? pic.twitter.com/I2FlUGCb8t
— R.Lukaku Bolingoli9 (@RomeluLukaku9) June 21, 2020
Se sulle pagine ufficiali i commenti sono stati per lo più di approvazione, è sulle pagine social delle testate sportive che si sono scatenati gli haters da tastiera. C’è chi ricorre all’insulto generico, “coglione”, “pagliaccio”, “vaffanculo”, “che cazzata”, “ipocrita”, “deficiente”. Chi invece prova ad argomentare, non contestualizzando minimamente il gesto, ma sostenendo che Lukaku avrebbe fatto meglio a protestare per altri fatti di cronaca, per omicidi avvenuti in altre situazioni (commessi da persone nere), per i morti da Covid19. E poi ci sono coloro secondo cui comunque alla fine George Floyd era un “criminale” (così viene definito in diversi commenti, quasi a giustificare la morte per soffocamento di una persona). Altri invece – molti – che attaccano il calciatore e la società, anche con insulti pesanti, perché “non bisogna mettere la politica nello sport”.
Ma perché non dovrebbe succedere? E perché un gesto a sostegno di una battaglia per i diritti civili e l’uguaglianza sociale deve scatenare ancora così tanto odio?
Non è la prima volta che Lukaku viene preso di mira, sia sui social che dal vivo. Il caso più clamoroso fu durante la partita Cagliari-Inter, a inizio campionato, quando i tifosi cagliaritani intonarono un coro di buu, come purtroppo ancora troppo spesso negli stadi avviene nei confronti i calciatori neri. All’epoca lui commentò: “Molti giocatori nell’ultimo mese sono stati vittime di abusi razzisti. A me è successo ieri.
Il calcio è uno gioco che deve far felici tutti e non possiamo accettare nessuna forma di discriminazione che lo possa far vergognare. Spero che tutte le Federazioni del mondo reagiscano duramente contro tutti i casi di discriminazione.
Ma come dimostra il Barometro dell’Odio nello Sport, la ricerca condotta nell’ambito del progetto Odiare non è uno Sport, il calciatore dell’Inter – assieme a Mario Balotelli – è la figura sportiva che scatena il maggior numero di commenti contenenti hate speech sui social, in particolare insulti e forme di discriminazione razziale per il colore della pelle.
Il gesto di Lukaku non è certo una novità in ambito sportivo. Il più celebre pugno alzato al cielo resta quello di Tommy Smith e John Carlos ai Giochi Olimpici di Città del Messico, dopo la finale dei 200 metri piani. Sul podio, davanti agli occhi di tutto il mondo, le medaglie d’oro e di bronzo olimpiche al momento dell’inno statunitense abbassarono il capo, alzarono il pugno, indossando un guanto nero. Era il 1968 e le battaglie per i diritti civili della popolazione nera negli States erano all’apice della loro intensità. Le conseguenze per i due velocisti non furono tanto le proteste del pubblico, quanto provvedimenti che li esclusero dai circuiti sportivi, così come fu per l’argento, il bianco australiano Peter Norman, che silenziosamente appoggiò il gesto dei colleghi neri, indossando una spilla dell’OPHR (Olympic Project for Human Rights), e da allora ebbe la carriera rovinata.
I gesti che hanno coinvolto gli sportivi nei decenni da allora non sono stati pochi. Tra le proteste recenti più clamorose spicca quella di Colin Kaepernick, giocatore di football americano della NFL, che a partire dal 2016 più volte si è inginocchiato durante l’inno nazionale, in protesta contro le discriminazioni razziali, scatenando l’emulazione da parte di diversi colleghi, ma anche molte critiche dell’America bianca. Una protesta che gli è costata molto: terminato il suo contratto con i San Francisco 49ers, il quarterback è rimasto senza squadra e ha poi lanciato una battaglia legale contro l’intero sistema della NFL che lo avrebbe ostacolato in ogni modo a rientrare nel circuito, vincendola in tribunale e ottenendo un ingente risarcimento.
Ma prese di posizione molti forti ci sono state anche nelle ultime settimane, in seguito alla morte di Floyd. Alta si è levata la voce di tanti sportivi: da Lewis Hamilton, stella della Formula 1, unico pilota nero del circuito, a Lebron James, campione della NBA con la maglia dei Los Angeles Lakers, da sempre sensibile al tema. Fino a Marcos Thuram, figlio di Lilian e giocatore in Germania del Borussia Moenchengladbach, che a sua volta si è inginocchiato dopo un gol.
Tornando a Lukaku viene da chiedersi il perché un gesto dimostrativo e di solidarietà a una battaglia che ha assunto una portata mondiale possa scatenare ancora così tanti commenti negativi e insulti deliberati. Come è noto, l’ambiente calcistico non brilla certo per tifoserie che hanno nella lotta per l’uguaglianza e i diritti civili una delle proprie chiavi. Anzi, in Italia nel 2020 sono ancora molti i gruppi di ultras – Inter compresa – che si definiscono apertamente fascisti. In questa coda di campionato così particolare a causa dell’emergenza sanitaria, gli stadi sono vuoti. Si gioca in un silenzio irreale. Un gesto come quello esibito davanti alle telecamere di tutto il mondo non poteva che avere una risonanza mediatica importante. E di certo non può unire le coscienze, perché ancora troppi sono coloro che non credono nell’uguaglianza sociale o che nemmeno si interrogano sui motivi che stanno scatenando le proteste di tutto il mondo e che affondano la propria ragion d’essere in secoli di colonialismo, discriminazioni e ferite profonde.
Ciò che è inaccettabile è che il commento non sia una critica sull’opportunità o meno del gesto simbolico, ma si trasformi in veicolo di invettiva, alimentando parole d’odio in una serie di botta e risposta (soprattutto su social come Facebook e Instagram dove è possibile rispondere e commentare i commenti altrui), che in tanti casi si trasformano in una spirale di insulti. Caratteristica purtroppo ormai strutturale del confronto sui social media.
In una società che è evidentemente ancora frammentata, un gesto come quello di Lukaku però può contribuire ad alimentare il dibattito. E non solo in protesta per la morte atroce di George Floyd a cui è stata tolta con violenza la possibilità di respirare. Ma assume un valore politico necessario. Forse perché è giunto il momento di non restare indifferenti. Forse perché abbiamo bisogno di una società consapevole. Il gesto non può bastare, ma il suo valore è forte, tanto più se viene da un uomo che – pur dall’alto del suo privilegio economico e mediatico – ha subito a sua volta episodi di razzismo in pubblico e che viene seguito dalle telecamere del mondo.
Anche per questo rilanciamo l‘appello a un Campionato senza odio e chiediamo a chi ci segue di monitorare quanto avviene sui social, individuando commenti contenenti hate speech e segnalandoli al nostro progetto.
Se vuoi contribuire puoi segnalare i commenti taggando la pagina Fb o l’account Instagram di Odiare non è uno Sport oppure facendo uno screenshot dei tweet e inviandoli a ufficiostampa@odiarenoneunosport.it. Se te la senti, puoi anche intervenire direttamente nella conversazione rilanciando il semplice appello a un Campionato senza Odio o usando la card qui sotto.
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