Un’estate per imparare a contrastare l’hate speech

I centri estivi come luogo e tempo speciale. Una salvezza per le famiglie, durante la lunga chiusura delle scuole. Un’opportunità per bambini e ragazzi per sperimentare attività nuove e significative, capaci di fondere dimensione ludica e approfondimento, senza la tensione delle dinamiche scolastiche o agonistiche. È in quest’ottica che si inserisce il percorso ideato all’interno di Odiare non è uno sport, grazie alla collaborazione tra CVCS e il Comune di San Pier d’Isonzo, paesino in provincia di Gorizia che ogni anno organizza centri estivi comunali, coinvolgendo le società sportive del territorio. Dagli allenatori ai genitori, dagli educatori dei centri estivi comunali al lavoro diretto con i ragazzi, il percorso è stato guidato da Clara Miani, psicologa dello sport, che abbiamo intervistato per conoscere meglio le attività e la risposta del territorio.

di Ilaria Leccardi

Il percorso è stato strutturato a “imbuto”, con vari incontri sul territorio. Il primo, il 6 maggio, per presentare i centri estivi comunali alle famiglie, in cui la psicologa ha potuto conoscere i genitori e presentare le attività programmate per i ragazzi, ma anche per raccogliere bisogni e necessità. “Abbiamo riscontrato grande entusiasmo nelle famiglie ed è emerso il bisogno di iniziare a parlare di sport e valori sportivi, ma anche di creare una base solida sul tema della comunicazione per prevenire il fenomeno dell’hate speech e strutturare un ambiente sportivo sicuro e positivo”. Quindi, il 20 maggio, si è tenuto un incontro esteso a tutti gli allenatori del territorio, volto a comprendere cosa sia l’hate speech e acquisire ottiche e strategie di comunicazione per contrastarlo online e in campo. “Abbiamo avuto una buona partecipazione volontaria, con età molto differenti, a prevalenza maschile”, racconta Miani, spiegando che si è trattato di un incontro informativo ma che ha previsto anche una piccola parte esperienziale sui commenti d’odio che i partecipanti potevano aver letto online o di cui erano stati vittima diretta. “L’idea – aggiunge – è stata quella di suscitare nei partecipanti una consapevolezza di quanto sia pervasivo il fenomeno nelle nostre vite nella cornice sportiva”. 

Infine, il 10 giugno, un appuntamento con educatori e istruttori che avrebbero lavorato direttamente con i ragazzi ai centri estivi. “Gli allenatori – spiega Miani – hanno riconosciuto l’esistenza di fenomeni d’odio online, ma la necessità più forte era capire come gestire i fenomeni d’odio e di intolleranza che si manifestano in campo. Non è scontato, infatti, che lo sport sia educativo: è uno strumento potente, ma è necessario identificare delle aree di lavoro specifiche per garantire che sia effettivamente educativo e positivo”.

Dopo la fase di dialogo con il territorio, si è passati alle vere e proprie attività nei centri estivi. Un momento dell’anno “speciale”, spiega Miani, che pone i ragazzi in uno “stato psicofisico e relazionale ottimale, senza le tensioni tipiche della scuola e dell’attività sportiva agonistica, ma in cui il gruppo è spinto al dialogo, anche per riflessioni profonde”.

Il percorso a San Pier d’Isonzo, in cui centri estivi comunali coinvolgono principalmente società sportive locali che lavorano con sport di squadra, ha previsto l’intervento della dottoressa Miani una volta a settimana, ogni giovedì dal 20 giugno al 18 luglio. Cinque appuntamenti di due ore, a partecipazione volontaria, ciascuno focalizzato su un valore sportivo, ideati con format differenti, per non annoiare, per coinvolgere e per far fronte al fatto che non è scontato che i bambini e i ragazzi fossero presenti a tutti gli incontri.

I valori su cui si è deciso si lavorare sono stati: il divertimento e l’importanza di fare sport per divertirsi; lealtà e fair play; rispetto del gioco, delle regole e degli avversari; vincere e perdere; saper cooperare nello sport. Obiettivo finale: creare una sorta di manifesto sportivo dei centri estivi di San Pier d’Isonzo. Le attività, pensate per un target di età 10-13 anni ma con la possibilità di includere anche bambini più piccoli, hanno coinvolto ogni volta una ventina di partecipanti, per lo più ragazze.

“Ogni incontro – spiega Miani – ha previsto una mezz’ora introduttiva sul valore sportivo identificato e poi un’ora in cui i partecipanti hanno potuto sviluppare in forma creativa le proprie idee attorno ad esso. Abbiamo usato format ogni volta differenti, dal template per intervistare gli altri partecipanti ai centri estivi, per approfondire il tema del divertimento nello sport, al fumetto per sviluppare storie di fair play, dalla rappresentazione delle regole sportive attraverso disegni sulle magliette, valorizzando l’importanza di scrivere la regola, pronunciarla e poi ‘indossarla’ per trasmetterla agli altri, alla creazione di brevi cortometraggi sul tema del vincere e del perdere nello sport, fino a quella che abbiamo chiamato ‘guerrilla lettering’, ossia la creazione di slogan in forma grafica da affiggere nei vari punti della grande area dove si svolgevano i centri estivi. Ogni incontro si è chiuso poi con un momento di riflessione in cui abbiamo tirato le somme, tenendone traccia su un grande cartellone, per la creazione finale del manifesto dei centri estivi”.

Una sperimentazione sicuramente importante, che ha arricchito l’estate del paesino friulano per tanti giovani. E che ha avuto un ottimo esito grazie al coinvolgimento dell’intera comunità e di un tessuto urbano con forti legami tra gli attori sociali. “Lavorare in un contesto urbano di un paese è un punto di forza, abbiamo abbracciato una comunità estesa anche ai comuni vicini, ma dove c’era già molta connessione. Mi ha sorpresa il grande interesse nei confronti di queste tematiche ed è stato molto importante lavorare in un contesto così aperto, disteso e ludico, piacevole per i ragazzi e le ragazze che si sono sentiti sereni nella condivisione e hanno potuto esprimere la propria creatività su tematiche non scontate”. Un’estate ricca di insegnamenti che sicuramente porteranno con sé.

La consapevolezza è la chiave contro l’odio: l’attività in classe

Uno degli obiettivi principali di Odiare non è uno sport è incontrare i giovani, dialogare con loro per approfondire e conoscere cosa sia l’hate speech e lavorare insieme per contrastarlo. Ecco perché, nelle sette regioni italiane coinvolte dal progetto, durante l’anno scolastico formatrici e formatori delle ong partner hanno attraversato gli istituti scolastici per svolgere attività a stretto contatto studenti e studentesse e giovani di età compresa tra 11 e 18 anni. Tra loro anche Vittoria Frigerio e Silvia Chiesa, formatrici di Progettomondo che opera nell’area veronese.

La formazione, che si è svolta tra novembre e aprile, è stata realizzata in 16 classi di Verona e provincia. Frigerio e Chiesa hanno incontrato 14 classi delle scuole secondarie di primo grado e 2 classi delle scuole secondarie di secondo grado, lavorando in totale con 411 studenti e studentesse. Sono inoltre stati raggiunti 94 giovani sportivi tra gli 11 e i 17 anni, suddivisi in 7 squadre: 4 squadre di calcio e 3 squadre di rugby.

articolo a cura di Progettomondo

“Le attività che abbiamo svolto hanno confermato ancora una volta che i ragazzi e le ragazze, quando coinvolti e stimolati, riescono sempre a dare spunti e riflessioni arricchenti”, dicono le due formatrici. “Sia nelle scuole medie che nelle superiori, la discriminazione percepita come più forte e diffusa è legata all’aspetto fisico, complice anche il cambiamento di altezza, peso e forme, tipico del periodo adolescenziale. Le differenze si amplificano con le discriminazioni rispetto al colore della pelle, elemento più facilmente esposto a possibili giudizi e discriminazioni.

Dai feedback ricevuti da ragazzi e ragazze, la formazione svolta durante il progetto sembra essere un buon punto di partenza: parlare dei fenomeni discriminatori rappresenta un modo di prendere atto che il problema esiste

“La consapevolezza -proseguono le formatrici – emerge come la chiave reale, visto che la maggior parte della popolazione giovane coinvolta non conosceva o non sapeva descrivere il significato della parola stereotipo. Fornire esempi concreti che aiutino ad avvicinarsi al concetto di stereotipo, che trasportino l’immaginario dei ragazzi e delle ragazze verso situazioni più concrete per immedesimarsi nelle conseguenze quotidiane provocate dalla discriminazione può realmente fare la differenza. Questo passaggio, questa chiave di lettura che scatta, invita a conoscere e poi valutare con la propria testa in che modo sapere agire di fronte alle discriminazioni”. 

Anche la parola empatia risulta poco conosciuta soprattutto nell’età più giovane. “Il termine, e la narrazione su come mettere in pratica il processo empatico, ha incuriosito le classi e andrebbe senza dubbio sviluppato con il supporto dei docenti e delle famiglie”.

“Le classi che abbiamo attraversato in molti casi sono a stretto contatto con quello viene percepito normalmente come bersaglio di pregiudizio. Abbiamo incontrato contesti eterogeni per provenienza di studenti e studentesse, e anche classi con la presenza di persone disabili. Non abbiamo notato pregiudizi razzisti verso compagni e compagne di classe, anzi. Gli studenti e le studentesse incontrati sono abituati a venirsi incontro nelle difficoltà legate alla lingua o nel cercare di comprendere un momento di difficoltà di coetanei e coetanee. Nonostante durante la formazione sia emerso qualche episodio di pregiudizio razzista vissuto in prima persona, gli studenti e le studentesse hanno raccontato con molta più libertà episodi di linguaggio d’odio vissuti dalle loro famiglie o da parenti e amici”.

Hate speech e social media: lo sguardo su Instagram e Tik Tok

Dopo la pubblicazione della seconda edizione del Barometro dell’Odio nello sport, la ricerca del centro CODER dell’Università di Torino sul tema del’hate speech nei social media è proseguita per esplorare le dinamiche che si sviluppano su Instagram e Tik Tok.

L’indagine si è concentrata anche in questo caso sui profili social delle cinque principali testate giornalistiche sportive e i commenti degli utenti, ma considerate le specificità delle due piattaforme si è scelto di adottare un approccio metodologico di tipo qualitativo, che ha permesso di far emergere logiche differenti rispetto a Facebook e Twitter/X, oggetto di indagine della ricerca pubblicata lo scorso autunno.

Su Instagram e Tik Tok, spiegano i ricercatori, la componente visiva, con la pubblicazione di foto e video, la fa da padrona e questo incide molto sulle modalità di commento ai contenuti pubblicati. Se su Instagram la componente testuale mantiene una sua importanza, soprattutto nei post pubblicati dalle testate giornalistiche, dove il contenuto tende ad assumere la forma di una notizia breve e in tempo reale, su Tik Tok il testo resta completamente accessorio.

Dalla nuova fase della ricerca emerge come l’hate speech sia presente anche nei flussi di commenti di Instagram e Tik Tok, ma in misura nettamente minore, e gli utenti tendono a utilizzare una chiave maggiormente ironica per commentare le notizie pubblicate su questi social dalle testate sportive. Anche la moderazione – aggiungono i ricercatori – ha un ruolo centrale: il numero di moderatori umani per la community italiana di TikTok è pari a 439, contro i 164 totali per la community italiana di Facebook e Instagram.

A breve, la ricerca sarà disponibile. Restate in contatto per saperne di più!

Lo sport può includere ed escludere: parola agli studenti

C’è chi ha raccontato di episodi di razzismo o discriminazione a cui ha assisitto durante una partita. Chi ha spiegato in poche ma incisive parole quanto è successo a un amico o a un’amica in un contesto sportivo poco inclusivo. Chi ha ripercorso un episodio positivo vissuto in prima persona o a sostegno di un compagno di allenamento. E chi ha spiegato come anche gli allenatori o le allenatrici a volte possono avere comportamenti escludenti e negativi.

Da mesi Odiare non è uno sport entra nelle scuole per approfondire il tema dell’hate speech e comprendere come i discorsi d’odio si possano manifestare anche nei contesti sportivi, per conoscere e contrastare il fenomeno in dialogo con studenti e studentesse. In totale, al 31 maggio 2024, sono stati 3.244 gli studenti e 499 i giovani sportivi raggiunti grazie alle attività del progetto.

Nelle scuole, formatrici e formatori delle ong partner hanno incontrato le classi, proponendo loro le attività previste dall’Unità Didattica ideata all’interno del progetto: un incontro per introdurre il fenomeno dell’hate speech con un riferimento specifico al linguaggio d’odio nello sport, un secondo per coinvolgere i ragazzi nel riconoscimento dei discorsi d’odio attraverso l’analisi di casi pratici estrapolati dai social, un terzo incontro per sperimentare modalità comunicative di contrasto all’hate speech.

A questo percorso è sembrato importante affiancare la possibilità di raccogliere direttamente dagli studenti delle testimonianze reali di episodi di discriminazione o inclusione vissuti in prima persona o come testimoni, in ambito sportivo. La raccolta è avvenuta in forma anonima, attraverso l’utilizzo di una scatola in cui i ragazzi e le ragazze hanno potuto inserire dei biglietti scritti di propria mano.

Oltre cento sono state le narrazioni raccolte, alcune di poche parole, altre più articolate, che nel complesso restituiscono un quadro di grande consapevolezza e attenzione alle dinamiche che si possono sviluppare sui campi da gioco, sugli spalti, negli spogliatoi. Tanti – purtroppo – i casi di razzismo o bullismo con forme di bodyshaming. O ancora frequenti le prese in giro nei confronti di chi non dimostra uno spiccato talento sportivo. Parole che possono ferire e segnare cicatrici anche durature. Ma c’è anche chi racconta episodi positivi, sottolineando il valore della squadra, la bellezza di sentirsi accolti in un gruppo, l’importanza di tendere una mano ai nuovi arrivati.

Odiare non è… un’arte

Odiare non è uno sport“, e nemmeno un’arte.

Lo chiarisce bene il cubo realizzato nella scuola media di Lavagno, in provincia di Verona, dove il docente di arte Luca Vinco, dopo la formazione di studenti e studentesse, tenuta dalle operatrici di Progettomondo sui temi della campagna “Odiare non è uno sport”, ha deciso di andare oltre.

“Ogni anno nel nostro plesso viene indetta la settimana delle arti e delle scienze su varie tematiche e laboratori”, spiega Vinco. “Ho seguito la presentazione della campagna e sono rimasto colpito da un’attività sui volti anonimi di varie nazionalità, invitando a scegliere con chi si sarebbe voluto trascorrere una serata. I miei studenti cercano sempre di risolvere il cubo di Rubik, e quindi è nata l’idea di un lavoro corale in cui, al posto dei colori, apparissero i volti di persone di sei diverse nazionalità, asiatiche, africane, europee, latinoamericane. Come si mescolano i colori di Rubik, così abbiamo mescolato i volti, per restituire il senso dell’inclusione di ogni etnia. Siamo tutti esseri umani dello stesso pianeta e lo abbiamo voluto esprimere con simpatia, creando un cubo solidale”.

Nel cubo ogni volto ha i propri tratti distintivi e colori diversi della pelle. Ma gli occhi non ci sono, restano, mancano dai disegni.

“Il messaggio – conclude il docente – è di andare oltre l’aspetto fisico che si coglie con lo sguardo, ma entrare nell’anima delle persone. Ragazze e ragazzi hanno lavorato con entusiasmo e passione, soddisfatti infine del risultato che non si aspettavano. Il cubo, composto di una serie di scatoloni di 80×80 centimetri, è stato esposto nell’atrio, di sbieco, per dare il senso che ruoti. L’installazione sarà vista e vissuta ogni giorno, rilanciando il messaggio di inclusività”.

Ed ecco come, a partire da un progetto specifico che nasce per occuparsi dell’ambito sportivo, lo sguardo si allarga e fa scaturire nuovi ragionamenti sull’inclusione e il contrasto a ogni discriminazione.

Parole fuorigioco – il podcast di Odiare non è uno sport

Otto episodi per ragionare sulle possibili discrminazioni di cui la nostra società è teatro in ambito sportivo, ma anche delle storie di chi ha trovato il modo per rispondervi. Si chiama Parole fuorigioco ed è il podcast di Odiare non è uno sport, a cura di Radio Sherwood. Una serie che vedrà al centro tematiche quali razzismo, sessismo, bodyshaming, abilismo e accessibilità agli spazi sportivi, con un focus specifico sull’ambito dilettantistico, di cui ancora non si parla abbastanza e in cui ognuno di noi impara a praticare e rendere lo sport parte della propria vita.

Se il dilettantismo è oggi testimone di atti di discriminazione e odio, esso è allo stesso tempo un grande bacino di aggregazione e inclusione sociale. Le storie che ascolterete vi faranno entrare nell’esperienza diretta delle persone intervistate, per comprendere quali sono le caratteristiche delle discriminazioni in ambito sportivo e trarre degli spunti e gli strumenti per reagire e far crescere una cultura sportiva sempre più inclusiva.

EPISODIO NUMERO 1 | Calcio e razzismo: Ragioniamo sul tema a partire da quanto avvenuto il 19 novembre 2023 nella partita tra le squadre abruzzesi Casalanguida e l’Athletic Lanciano. Ai microfoni, le voci di Michele La Scala (Vicepresidente dell’Athletic Lanciano) e di Marco Iasci (della tifoseria Axa Rebel) che racconteranno la vicenda vista dai loro occhi, le loro opinioni e i loro valori per un calcio antirazzista.

EPISODIO NUMERO 2 | La danza non è una cosa per donne: Nel secondo episodio si esplorano le discriminazioni razziali nella danza, una disciplina spesso femminilizzata e vista più come arte che sport. Nella danza, le micro aggressioni, l’omogeneità bianca e la denigrazione delle danze non europee sono ancora comuni in ambienti amatoriali e professionali. Tuttavia, ci sono anche esempi di resistenza antirazzista, studio di altre culture e sfida ai canoni tradizionali.

EPISODIO NUMERO 3 | Per uno sport al sicuro dal sessismo: Nel terzo episodio parliamo di sessismo, una piaga che, come riporta l’AICS, è largamente riscontrata all’interno dell’attività sportiva dove persistono pregiudizi di genere e di orientamento sessuale. Ne discutiamo con Francesca Masserdotti di Assist (Associazione Nazionale Atlete) e Giulia Borghi della polisportiva Atletico San Lorenzo che ci danno una chiave di lettura femminista dello sport professionistico e popolare. 

in aggiornamento -> gli episodi saranno disponibili a seguito della loro diffusione sui social

6 aprile 2024 – Mobilitazioni in 14 città italiane

Una giornata di mobilitazioni in tutta Italia contro l’hate speech nello sport.

In occasione della Giornata Internazionale dello Sport per lo sviluppo e la pace campioni sportivi, società dilettantistiche, scuole e gruppi giovanili si mobilitano per dire che ODIARE NON E’ UNO SPORT. Partecipa anche tu, leggi sotto come.

In oltre 14 città italiane* si terranno flash mob per attirare l’attenzione sul fatto che non è più accettabile che i discorsi d’odio siano diventati una parte strutturale delle conversazioni sportive, come è illustrato nell’ultima edizione del Barometro dell’Odio nello Sport, dove in tre mesi di monitoraggio dei social delle principali testate sportive italiane sono stati intercettati oltre un milione di commenti di hate speech. Dal linguaggio volgare, agli insulti discriminatori fino a vere proprie minacce. Lo sport nasconde fenomeni di odio insidiosi, che nascono sul campo e si moltiplicano pericolosamente online. E’ ora di dire basta.

MOBILITAZIONI DA NORD A SUD

Dal Verona Volley alla Pallacanestro Cantù, dal Cus Torino Rugby femminile alla Polisportiva San Filippo Neri di Milano, e ancora a Verona l’Alba Borgo Roma e il Dingo Rugby Club , l’Asd Lazise Calcio, il Basket Lions Leontinoi Lentini (Catania), il Volley Team di Bologna, la Santinelli Dance Academy di Roma, la Lady Maerne Calcio femminile di Treviso, sono molte le realtà che hanno aderito all’iniziativa. Il Flash mob raggiungerà anche le società sportive protagoniste del campionato nazionale di corsa campestre di Lecco, così come parallelamente grandi e piccole società sportive giocheranno con le pettorine di Odiare non è uno sport per ribadire che il confronto sul campo dev’essere prima di tutto lealtà, inclusione e rispetto delle regole.

Fin dalla prima edizione, molti campioni che hanno sostenuto la campagna Odiare non è uno sport: Stefano Oppo, Assunta Legnante, Igor Cassina, Valeria Straneo, Angela Carini, Alessia Maurelli, Frank Chamizo, Rossano Galtarossa,Paola Egonu,  e ancora Emanuele Lambertini, Gaia Tortolina, Valentina Petrillo, Maria Magatti, Vittoria Di Dato, Luca Cesana, Mattia Gaspari, Veronica Lisi, Valentina Quaranta, il sindaco di Verona Damiano Tommasi, Emma Mazzenga, la prof classe 1933 primatista mondiale over 90 sui 200 metri, le squadre di basket in carrozzina Briantea84 e Amicacci di Giulianova, la motociclista Francesca D’Alonzo, i giornalisti sportivi Riccardo Cucchi e Mimma Caligaris, assieme a tante squadre italiane di sport popolare. Anche in questa occasione molti di loro torneranno a rilanciare il messaggio tramite i canali social, fotografandosi con la scritta Odiare non è uno sport. Un gesto semplice ma potente, che si unirà a quello di centinaia di studenti e gruppi giovanili, tra cui la Scuola Media Ascoli di Gorizia, il Liceo Agnesi di Milano, l’associazione ACMOS di Torino, e tante persone comuni che condividono i valori fondanti dello sport

COME PARTECIPARE

Partecipa anche tu fotografandoti con la scritta ODIARE NON E’ UNO SPORT, puoi scaricare l’immagine della campagna a questo link o se ti è più comodo scrivere tu la frase su un foglio o con la creatività che preferisci, poi carica la tua foto qui lasciando i tuo nome e cognome e città di provenienza o se preferisci in forma anonima. Rilancia il messaggio attraverso i propri canali social, taggando le pagine di Odiare non è uno sport su Facebook (@odiarenoneunosport) o su Instagram (@odiarenonesport) e utilizzando gli hashtah #odiarenoneunosport e #nohatespeech

Vinciamo insieme una battaglia di civiltà!

* Calco (Le), Cantù (Co), Castel Maggiore (Bo), Lentini (Si), Lecco, Monza (MI), Milano, Montebelluna (TV), Padova, Roma, Sesto S. Giovanni (Mi), Torino, Treviso, Verona

Guarda tutte le foto di chi ha già partecipato

Unità Didattiche: nelle scuole per contrastare l’odio online

Offrire strumenti di approfondimento per riconoscere e contrastare l’hate speech online. Ma anche proporre nuove modalità di condivisione, con un approccio non frontale, ricco di esempi che permetta alle nuove generazioni di “allenarsi” alla gentilezza nella comunicazione online. Odiare non è uno sport ha tra i suoi principali obiettivi quello di entrare in contatto diretto con i ragazzi, anche nei contesti scolastici. Ecco perché nell’ambito del progetto nasce l’Unità didattica di apprendimento (UDA), un percorso didattico per le scuole secondarie dedicato al riconoscimento e al contrasto dell’hate speech, accessibile a formatori e docenti gratuitamente dalla piattaforma di ImpactSkills. Ma come nasce l’UDA? Quali sono i principali obiettivi e come è stata fino ad ora applicata nei contesti scolastici? Ne abbiamo parlato con Maria Lipone, formatrice che da anni lavora con CVCS e che ha coordinato i lavori di realizzazione e stesura dell’UDA, conducendo già numerosi incontri nelle scuole.

di Ilaria Leccardi

Maria Lipone

Dottoressa Lipone, come prende vita questo percorso didattico e chi vi ha contribuito?

È stato un lavoro corale che ha visto coinvolte le ong e diversi dei soggetti partner del progetto, nelle sette regioni italiane dove si svolge Odiare non è uno sport. Un lavoro stimolante e complesso, concentrato tra i mesi di marzo e giugno, in cui ogni realtà ha portato proprie specificità e competenze. Nella versione definitiva dell’UDA abbiamo cercato di prevedere un’alternanza di momenti formativi, sperimentazione pratica, lavoro individuale o di gruppo, stimoli visivi e video per i ragazzi.

Come si compone il percorso?

Comprende tre incontri da due ore ciascuno, con una parte pratica e una parte teorica, declinati in una versione per le scuole secondarie di primo grado e una per le scuole secondarie di secondo grado. Il primo incontro è dedicato alla conoscenza reciproca e all’introduzione del fenomeno hate speech, con l’approfondimento di concetti quali la piramide dell’odio, gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni; il secondo incontro è dedicato al riconoscimento del linguaggio d’odio, anche a partire dall’analisi di casi ripresi dai social e dalle app di chat utilizzate dai giovani; il terzo si concentra sulla sperimentazione di modalità comunicative diverse, per contrastare concretamente l’hate speech.

Gli insegnanti possono condurre le attività in maniera autonoma oppure è necessaria la presenza di un formatore o una formatrice esterna?

Il percorso e i materiali sono pensati per essere replicabili in maniera autonoma dagli insegnanti. Tuttavia, l’esperienza fatta finora ci dice che spesso viene richiesta la nostra presenza come formatori poiché non tutti i docenti sono abituati a condurre attività con una modalità che non sia quella classica frontale e che preveda ad esempio una destrutturazione dell’impostazione classica dell’aula e la partecipazione in forma laboratoriale degli studenti. E poi, anche perché le tematiche sono molto delicate e promuovono la condivisione di esperienze a volte dolorose che non è sempre facile raccogliere, accogliere e contenere. La presenza di una figura di mediazione può essere utile in queste situazioni.

Come sono state le esperienze con i ragazzi finora?

In questi primi mesi di anno scolastico ho condotto incontri in quattro classi del biennio superiore e in quattro terze medie nella regione del CVCS, ossia il Friuli-Venezia Giulia. Mentre le altre ong hanno lavorato nelle rispettive regioni. Sono state tutte esperienze molto positive, che hanno evidenziato la necessità di percorsi di questo tipo. I ragazzi ne hanno davvero bisogno. Da una parte perché il digitale è una sfera che li coinvolge molto, nella quale si sviluppano dinamiche che spesso definiscono le loro relazioni personali, ma su cui non hanno possibilità di condivisione. A volte gli adulti danno per scontato che i giovani abbiano delle competenze rispetto ai social solo perché sono capaci di usare un dispositivo digitale. Ma non è così. E questo porta a compiere errori, anche ingenui, ma potenzialmente pericolosi.

Il digitale può essere da una parte lo specchio dall’altra il moltiplicatore di dinamiche che avvengono nella vita reale.

Spesso i ragazzi hanno un accesso precoce a contenuti che non hanno ancora la capacità di elaborare. E accedendovi hanno a che fare con stili comunicativi o estetici che possono condizionare il loro agire nella vita reale. Certi social comportano un bombardamento di stimoli che finiscono con il far perdere all’utente il contatto con la realtà, con la quale si fa fatica a fare i conti. Penso che l’iper connessione sia più una conseguenza che non una causa del malessere e del disagio vissuto dai giovani. Quello dei social è un luogo dove i ragazzi – che hanno bisogno di relazioni ed esperienze che spesso non riescono a vivere nella vita reale – possono soddisfare molti dei loro bisogni. Ma non per questo è un luogo sicuro e soprattutto all’interno di questo universo i ragazzi non sperimentano passaggi di crescita fondamentali.

In che modo l’Unità Didattica è declinata sul tema sport?

Si fa riferimento all’ambito sportivo nel momento in cui diversi esempi di discorsi d’odio sono ripresi da quel mondo, raccontando come ci sono campioni anche molto noti che hanno subito hate speech e discriminazioni. Inoltre, tra le attività di “rottura del ghiaccio” io chiedo spesso chi nella classe pratica uno sport. Con dispiacere ho notato che non sono tanti, anche perché il covid negli ultimi anni ha portato molti giovani ad abbandonare l’attività sportiva. Più frequente è trovare ragazzi che tifano, per lo più una squadra di calcio, e quindi il discorso sport – e di conseguenza l’attenzione all’hate speech – si riesce ad allargare a questo ambito. Ho notato inoltre che nelle scuole secondarie di secondo grado hanno sempre più appeal l’allenamento in palestra e il body building, anche questo in conseguenza di quanto i giovani vedono sui social. Un’attività però spesso vissuta in maniera solitaria e non condivisa.

Come raccogliete il feedback dei ragazzi? Sono previsti questionari o valutazioni sul percorso?

L’Unità Didattica prevede dei questionari sia in ingresso che in uscita, sia sulle nozioni acquisite durante il percorso, sia sull’esperienza personale vissuta. Viene chiesto ai ragazzi se abbiano mai subito direttamente hate speech o discriminazioni online. Tra le attività del secondo incontro, inoltre, viene chiesto ai partecipanti di scrivere su dei post-it in forma anonima il messaggio più brutto da cui sono stati feriti nelle comunicazioni online, in chat o sui social. E purtroppo spesso emergono parole ed espressioni terribili. Ecco perché lavoriamo anche per “allenare” a una comunicazione gentile, proponendo esercizi per trasformare le comunicazioni, ad esempio da uno stile giudicante a uno stile più assertivo. Il percorso prevede infine un quiz online tramite cui gli studenti possono sperimentarsi in prima persona per contrastare l’odio online. 

Il Barometro dell’Odio nello Sport, 2ª edizione

L’hate speech online in ambito sportivo è un fenomeno in crescita. Si manifesta per lo più sotto forma di aggressività verbale e ha maggiore incidenza nei commenti social riguardanti il calcio, sport che domina quasi totalmente il flusso dell’informazione sportiva italiana, ma è rilevante anche rispetto a pallavolo e basket. In leggera diminuzione invece sono le espressioni riconducibili a forme di aggressività fisica e discriminazione che comunque rimangono a livelli ancora preoccupanti, soprattutto nei confronti di sportivi che – nella vita reale – parlano e denunciano episodi di razzismo.  

Sono i dati che emergono dalla seconda edizione del Barometro dell’Odio nello Sport, ricerca realizzata dal Centro CODER dell’Università di Torino nell’ambito del progetto Odiare non è uno sport, presentata il 25 ottobre 2023 a Roma, nella Sala dei Presidenti CONI, al Foro Italico. All’evento, moderato dalla giornalista Annamaria Sodano, hanno preso parte il presidente del Centro Sportivo Italiano, Vittorio Bosio, il dirigente del Centro Nazionale Sportivo Libertas, Vittorio Rosati, il dottor Carlo Mornati, Segretario Generale CONI, Sara Fornasir coordinatrice nazionale del progetto Odiare non è un Sport, e Giuliano Bobba e Antonella Seddone, professori dell’Università di Torino, Dipartimento di Culture, Politica e Società, che hanno condotto la ricerca e illustrato i dati del Barometro. A seguire sono intervenuti Alessia Pieretti, pentatleta, Ingrid Van Marle, Presidente dell’Associazione Medaglie d’Oro al Valore Atletico (campionessa mondiale di pattinaggio), e il bronzo olimpico di canottaggio Stefano Oppo con un videomessaggio.

UN MILIONE DI COMMENTI D’ODIO

Lo studio – che fa seguito a una prima edizione realizzata nel 2019 – ha monitorato per tre mesi, dal 1° Ottobre 2022 al 6 Gennaio 2023, i social (Facebook e Twitter) delle 5 principali testate sportive italiane, Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Corriere dello Sport, Sky Sport e Sport Mediaset, identificando quattro principali dimensioni dell’hate speech: linguaggio volgare, aggressività verbale, aggressività fisica e discriminazione. Su un totale di  3.412.956 commenti su Facebook e 29.625 su Twitter analizzati, circa un milione sono stati classificati come hate speech e circa 200.000 contenevano almeno un riferimento alla discriminazione.

Rispetto ai dati del 2019, emerge che la percentuale di post a cui non fanno seguito commenti d’odio su Facebook è diminuita dal 25,7% al 15,1%, mentre i post con più di 25 commenti di hate speech sono aumentati dal 13,6% al 29,8%. Anche su Twitter, dove il volume dei commenti è decisamente inferiore, la percentuale di hate speech è cresciuta in maniera significativa: il 54,9% dei commenti è stato identificato come hate speech, mentre nel 2019 il dato era del 31%. 

La dimensione più frequente di hate speech è rappresentata dall’aggressività verbale con una percentuale che su Facebook è pari al 67,3%, seguita da espressioni di linguaggio volgare (22,1%). Discriminazione ed espressioni riconducibili a forme di aggressività fisica registrano valori più bassi nel 2022 rispetto al 2019, passando rispettivamente dal 7% al 6,5% e dal 6% a al 4,1%. 

«Il fenomeno – spiega il professor Bobba – non è in diminuzione, ma in crescita. Guardando i dati complessivi, soprattutto Facebook, perché Twitter veicola ormai pochi commenti, vediamo che il livello di hate speech generale è aumentato e che sono pochissimi i post a cui non fanno seguito commenti d’odio».

Questo significa che se sono una persona che per informarsi su quanto avviene in ambito sportivo usa i social, quasi sicuramente mi imbatterò in varie forme di hate speech. Le conseguenze possono essere molteplici: posso partecipare anche io a questo flusso, oppure allontanarmi ed evitare quell’ambiente perché resto colpito in maniera negativa.

IL CALCIO DOMINA IN MANIERA SCHIACCIANTE IL FLUSSO DI INFORMAZIONI

Il Barometro dell’Odio nello Sport fornisce anche una panoramica importante sulla rilevanza che hanno i diversi sport nel flusso di notizie online, evidenziando come il calcio sia dominante nelle conversazioni social e nell’attenzione delle testate giornalistiche, con il 96,1% dei post dedicati su Facebook e il 95,2% di quelli su Twitter. Tra le altre discipline, la Formula 1 e il tennis sono gli sport più presenti, davanti a nuoto, motociclismo e basket. 

Tuttavia – sebbene con volumi diversi – tutti gli sport scatenano un importante flusso di commenti d’odio su entrambe le piattaforme: su Facebook, il calcio e la pallavolo presentano le percentuali più alte di commenti contenenti hate speech (rispettivamente 12,4% e 12,7%); su Twitter, il basket si distingue con la percentuale più elevata di linguaggio volgare (15,4%) e aggressività verbale (30,8%), mentre il calcio si caratterizza per la presenza di aggressività fisica (13,5%).

Concentrandosi sui soggetti e le realtà al centro del flusso di informazione, dalla ricerca emerge che tra le squadre di Serie A, quelle che maggiormente scatenano hate speech nei commenti sono su Facebook l’Inter, la Lazio e la Juventus, con percentuali comprese tra il 13,3% e il 13,7%, e su Twitter la Roma (con il 26% di hate speech nelle replies relative a contenuti dedicati alla squadra), la Lazio (24,3%) e il Napoli (22,6%). 

BONUCCI, ALLEGRI ED EGONU BERSAGLIO DI HATE SPEECH

Interessanti sono anche gli approfondimenti che questa edizione dedica ai personaggi dello sport, con focus specifici dedicati ai calciatori, agli allenatori di calcio, ai personaggi sportivi di altre discipline, ai commentatori sportivi e alle compagne dei calciatori, spesso le uniche donne rappresentate dall’informazione sportiva sulle testate nazionali, nella versione cartacea e soprattutto online.

Se tra i calciatori è Leonardo Bonucci ad aver fatto registrare il livello maggiore di hate speech (16,5% su Facebook e 29,2% su Twitter), gli allenatori è Massimiliano Allegri a raccogliere la più alta percentuale di commenti d’odio. Tra gli sportivi non calciatori, su Facebook sono la pallavolista Paola Egonu e il pilota di Formula 1 Verstappen a registrare il volume più alto di commenti contenenti hate speech (rispettivamente 16% e 16,4%). Su Twitter, benché con volumi inferiori, per Egonu quasi un commento su tre veicola linguaggio d’odio. Fra i commentatori sportivi la percentuale di hate speech è particolarmente elevata nei commenti ai post che riguardano Antonio Cassano e Daniele Adani, mentre tra le compagne dei calciatori si registrano alte percentuali di commenti d’odio relativamente ai post riguardanti la cantante Shakira, ex compagna di Gerard Piqué, e Wanda Nara, moglie di Mauro Icardi. 

«In questa edizione – prosegue Bobba – abbiamo cercato di capire qualcosa in più degli attori sportivi. E tra i dati più interessanti troviamo il grande volume di hate speech nei confronti della pallavolista Paola Egonu, a seguito delle sue dichiarazioni di volersi allontanare dalla Nazionale a causa dei commenti razzisti ricevuti nel “mondo reale”. Notizia che l’ha resa target di commenti d’odio online soprattutto sotto forma di discriminazione. Ancora più interessante il dato sul capitano della Nazionale di atletica Gianmarco Tamberi: pochissimi post lo riguardano, ma tantissimi sono i commenti di hate speech che lo prendono di mira, proprio dopo essere intervenuto sul caso Egonu».

Questo ci dice che quando qualche sportivo prende parola nel mondo reale su temi come il razzismo, viene preso di mira online, scatenando un flusso ancora più forte di hate speech, sotto forma di discriminazione.

IMPORTANTE CONTRASTARE IL FENOMENO LAVORANDO CON I GIOVANI

Alla luce di quanto emerge dalla ricerca, diventa allora ancora più importante lavorare con i giovani per studiare e contrastare il fenomeno. «Il Barometro dell’Odio nello Sport – ha commentato Sara Fornasir – Coordinatrice del progetto “Odiare non è uno sport” – documenta l’allarmante crescita di un fenomeno che definisce con toni offensivi e discriminatori il contesto culturale in cui gli utenti del web interagiscono quotidianamente. Interessante è vedere il confronto tra quanto avviene nello sport ad alto livello e il lavoro fatto dagli enti di promozione sportiva con le società dilettantistiche. Sapere che i giovani che praticano sport hanno questo perimetro di attenzione attorno a loro è positivo, perché possiamo muoverci insieme per una mobilitazione reale, anche dal basso, contro l’odio online. Ora la ricerca universitaria proseguirà, nei prossimi mesi, per andare ad analizzare i social più utilizzati dai giovani, come Instagram e TikTok, e vedremo se le tendenze sono simili o differenti, anche perché crediamo che i giovani possano essere divulgatori di una comunicazione orientata al rispetto e alla tolleranza».

«Il CSI – afferma Vittorio Bosio, Presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano – è da sempre in prima linea nel promuovere lo sport inteso come veicolo di crescita, inclusione e confronto. E non ha potuto far mancare la propria voce nel progetto “Odiare non è uno sport”. Poniamo infatti grande attenzione alla dimensione digitale dei confronti e delle relazioni, negli ultimi anni inquinate, con il diffondersi dei social media, sovente da insulti, scontri, parole e minacce d’odio. Lo sport deve rimanere un gioco, un divertimento e mai sfociare in odio. Ogni partita è sempre un incontro. Avversari sì. Nemici mai».

«“Odiare non è uno Sport” – spiega Andrea Pantano, Presidente nazionale Libertas – è per noi estremamente significativo, perché ci permette di contribuire alla costruzione di uno sport che sia luogo e ambiente sicuro, soprattutto per i giovani e giovanissimi. Ogni parola che lede la dignità di una persona, che la ferisce e che la fa sentire un bersaglio è pura violenza. Un’aggressione che può minare il delicato percorso di crescita dei nostri ragazzi, facendoli sentire soli, sbagliati e fragili. Lo sport può e deve essere una possibilità di autorealizzazione e di sperimentazione di sé, un posto in cui sentirsi sé stessi e al sicuro. Per questo abbiamo scelto di far parte di questa importante progettazione».


Odiare non è uno sport è un progetto educativo e una campagna di sensibilizzazione per prevenire e contrastare l’hate speech online nello sport, anche con il coinvolgimento di campioni sportivi come testimonial. Tra il 2023 e il 2024, lavorerà con le scuole e le società sportive di 7 regioni, attraverso unità didattiche e percorsi formativi interattivi per far riflettere i ragazzi sul fenomeno, permettere loro di riconoscerlo e contrastarlo, e arriverà a coinvolgere 600 docenti e 2200 studenti di scuole secondarie di 7 regioni italiane, 300 dirigenti di società sportive, 900 giovani sportivi di età compresa tra 11 e 18 anni, 540 allenatori sportivi di target giovanile. Il progetto prevede anche strumenti informatici per contrastare l’hate speech online, come un software sonda per intercettare i discorsi d’odio e un albero delle risposte per smorzare i toni delle conversazioni, elaborato dall’Università di Trieste. Inoltre, ha attivato nove squadre giovanili anti-odio per monitorare i principali social e spezzare la catena dell’odio online. Il progetto, realizzato con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è promosso da CVCS in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (Amici dei Popoli ONG, ASPEm, CELIM Milano, COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, Cope Cooperazione Paesi Emergenti, LVIA, Progettomondo), gli enti di promozione sportiva Centro Sportivo Italiano e Centro Nazionale Sportivo Libertas, Informatici Senza Frontiere APS e ImpactSkills per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (Università degli Studi di Torino e Università degli Studi di Trieste) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica.

Giornata Mondiale dello Sport, riparte la campagna!

Campioni e campionesse, società sportive, associazioni, scuole e studenti uniti per dire no all’hate speech nello sport, è così che riparte con nuovo slancio il progetto Odiare non è uno sport, per prevenire e contrastare i messaggi d’odio online in ambito sportivo

Veicolo di crescita e confronto, palestra di vita, lo sport  coinvolge milioni di ragazzi e ragazze nel nostro paese ed è un importante terreno di inclusione e aggregazione sociale. Allo stesso tempo però lo sport è divenuto anche, e sempre più, terreno di scontri, discorsi e gesti d’odio, che nella dimensione digitale si potenziano e diffondono in maniera esponenziale.

Secondo la ricerca di Coder (UniTo) del 2020, sulle pagine Fb delle 5 principali testate sportive nazionali tre post su quattro ricevono commenti di hate speech

È così che, anche grazie all’aiuto di diversi campioni azzurri, in occasione della Giornata Mondiale dello Sport 2023, riprende nuovo slancio la campagna #Odiarenoneunosport, sostenuta dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promossa dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo (CVCS), con un fitta rete di partners su tutto il territorio nazionale.  

Guarda il video reel

Avviata nel 2020 con un primo studio del fenomeno affidato all’Università di Torino (Centro Coder) che ha elaborato il primo Barometro dell’Odio nello sport, monitorando i principali social media e le testate giornalistiche sportive, la campagna ha raccolto le testimonianze di campioni dello sport azzurro come Igor Cassina, Paola Egonu, Stefano Oppo, Alessia Maurelli, Frank Chamizo, Valeria Straneo, Angela Carini e tanti altri. Al loro fianco le straordinarie storie di  inclusione sociale avvenute attraverso lo sport sul territorio italiano e l’adesione spontanea di decine di sportivi, professionisti e dilettanti, associazioni, scuole o semplici cittadini che sostengono la campagna ritraendosi con la scritta Odiare non è uno sport . Qui la Gallery

Riparte oggi con nuovo slancio non solo la campagna di sensibilizzazione, che si svolgerà contestualmente alla delicata fase della preparazione Olimpica degli Azzurri verso Parigi 2024, ma anche un importante progetto di prevenzione e contrasto all’hate speech. Progetto che porterà alla realizzazione del secondo Barometro dell’Odio nello sport e al coinvolgimento in percorsi formativi interattivi e multimediali sulle dinamiche dell’odio nello sport 600 docenti di scuole secondarie, 540 allenatori sportivi del target giovanile, 300 dirigenti di società/ASD, 2200 studenti di scuole secondarie di I e II grado e 900 giovani sportivi della fascia 11-18.

Saranno costituite anche 9 squadre territoriali di attivisti digitali  anti-odio, composte da studenti e giovani coinvolti nelle attività di formazione, che condurranno azioni di contrasto all’hate speech sportivo in chat e social frequentati dai giovani, attivando reazioni e risposte di valenza dissuasiva ed educativa.

Tutti insieme, con nuovo entusiasmo e determinazione e un obiettivo comune: dire no all’odio nello sport e nella vita. 

Il progetto è sostenuto dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo e promosso dal Centro Volontariato Cooperazione allo Sviluppo, in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (ADP, Aspem. CeLIM, COMI, COPE, LVIA, Progettomondo),  gli enti di promozione sportiva CSI e Libertas, Informatici senza Frontiere e Impactskills srl per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (UniTo e UniTs) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica