Unità Didattiche: nelle scuole per contrastare l’odio online

Offrire strumenti di approfondimento per riconoscere e contrastare l’hate speech online. Ma anche proporre nuove modalità di condivisione, con un approccio non frontale, ricco di esempi che permetta alle nuove generazioni di “allenarsi” alla gentilezza nella comunicazione online. Odiare non è uno sport ha tra i suoi principali obiettivi quello di entrare in contatto diretto con i ragazzi, anche nei contesti scolastici. Ecco perché nell’ambito del progetto nasce l’Unità didattica di apprendimento (UDA), un percorso didattico per le scuole secondarie dedicato al riconoscimento e al contrasto dell’hate speech, accessibile a formatori e docenti gratuitamente dalla piattaforma di ImpactSkills. Ma come nasce l’UDA? Quali sono i principali obiettivi e come è stata fino ad ora applicata nei contesti scolastici? Ne abbiamo parlato con Maria Lipone, formatrice che da anni lavora con CVCS e che ha coordinato i lavori di realizzazione e stesura dell’UDA, conducendo già numerosi incontri nelle scuole.

di Ilaria Leccardi

Maria Lipone

Dottoressa Lipone, come prende vita questo percorso didattico e chi vi ha contribuito?

È stato un lavoro corale che ha visto coinvolte le ong e diversi dei soggetti partner del progetto, nelle sette regioni italiane dove si svolge Odiare non è uno sport. Un lavoro stimolante e complesso, concentrato tra i mesi di marzo e giugno, in cui ogni realtà ha portato proprie specificità e competenze. Nella versione definitiva dell’UDA abbiamo cercato di prevedere un’alternanza di momenti formativi, sperimentazione pratica, lavoro individuale o di gruppo, stimoli visivi e video per i ragazzi.

Come si compone il percorso?

Comprende tre incontri da due ore ciascuno, con una parte pratica e una parte teorica, declinati in una versione per le scuole secondarie di primo grado e una per le scuole secondarie di secondo grado. Il primo incontro è dedicato alla conoscenza reciproca e all’introduzione del fenomeno hate speech, con l’approfondimento di concetti quali la piramide dell’odio, gli stereotipi, i pregiudizi e le discriminazioni; il secondo incontro è dedicato al riconoscimento del linguaggio d’odio, anche a partire dall’analisi di casi ripresi dai social e dalle app di chat utilizzate dai giovani; il terzo si concentra sulla sperimentazione di modalità comunicative diverse, per contrastare concretamente l’hate speech.

Gli insegnanti possono condurre le attività in maniera autonoma oppure è necessaria la presenza di un formatore o una formatrice esterna?

Il percorso e i materiali sono pensati per essere replicabili in maniera autonoma dagli insegnanti. Tuttavia, l’esperienza fatta finora ci dice che spesso viene richiesta la nostra presenza come formatori poiché non tutti i docenti sono abituati a condurre attività con una modalità che non sia quella classica frontale e che preveda ad esempio una destrutturazione dell’impostazione classica dell’aula e la partecipazione in forma laboratoriale degli studenti. E poi, anche perché le tematiche sono molto delicate e promuovono la condivisione di esperienze a volte dolorose che non è sempre facile raccogliere, accogliere e contenere. La presenza di una figura di mediazione può essere utile in queste situazioni.

Come sono state le esperienze con i ragazzi finora?

In questi primi mesi di anno scolastico ho condotto incontri in quattro classi del biennio superiore e in quattro terze medie nella regione del CVCS, ossia il Friuli-Venezia Giulia. Mentre le altre ong hanno lavorato nelle rispettive regioni. Sono state tutte esperienze molto positive, che hanno evidenziato la necessità di percorsi di questo tipo. I ragazzi ne hanno davvero bisogno. Da una parte perché il digitale è una sfera che li coinvolge molto, nella quale si sviluppano dinamiche che spesso definiscono le loro relazioni personali, ma su cui non hanno possibilità di condivisione. A volte gli adulti danno per scontato che i giovani abbiano delle competenze rispetto ai social solo perché sono capaci di usare un dispositivo digitale. Ma non è così. E questo porta a compiere errori, anche ingenui, ma potenzialmente pericolosi.

Il digitale può essere da una parte lo specchio dall’altra il moltiplicatore di dinamiche che avvengono nella vita reale.

Spesso i ragazzi hanno un accesso precoce a contenuti che non hanno ancora la capacità di elaborare. E accedendovi hanno a che fare con stili comunicativi o estetici che possono condizionare il loro agire nella vita reale. Certi social comportano un bombardamento di stimoli che finiscono con il far perdere all’utente il contatto con la realtà, con la quale si fa fatica a fare i conti. Penso che l’iper connessione sia più una conseguenza che non una causa del malessere e del disagio vissuto dai giovani. Quello dei social è un luogo dove i ragazzi – che hanno bisogno di relazioni ed esperienze che spesso non riescono a vivere nella vita reale – possono soddisfare molti dei loro bisogni. Ma non per questo è un luogo sicuro e soprattutto all’interno di questo universo i ragazzi non sperimentano passaggi di crescita fondamentali.

In che modo l’Unità Didattica è declinata sul tema sport?

Si fa riferimento all’ambito sportivo nel momento in cui diversi esempi di discorsi d’odio sono ripresi da quel mondo, raccontando come ci sono campioni anche molto noti che hanno subito hate speech e discriminazioni. Inoltre, tra le attività di “rottura del ghiaccio” io chiedo spesso chi nella classe pratica uno sport. Con dispiacere ho notato che non sono tanti, anche perché il covid negli ultimi anni ha portato molti giovani ad abbandonare l’attività sportiva. Più frequente è trovare ragazzi che tifano, per lo più una squadra di calcio, e quindi il discorso sport – e di conseguenza l’attenzione all’hate speech – si riesce ad allargare a questo ambito. Ho notato inoltre che nelle scuole secondarie di secondo grado hanno sempre più appeal l’allenamento in palestra e il body building, anche questo in conseguenza di quanto i giovani vedono sui social. Un’attività però spesso vissuta in maniera solitaria e non condivisa.

Come raccogliete il feedback dei ragazzi? Sono previsti questionari o valutazioni sul percorso?

L’Unità Didattica prevede dei questionari sia in ingresso che in uscita, sia sulle nozioni acquisite durante il percorso, sia sull’esperienza personale vissuta. Viene chiesto ai ragazzi se abbiano mai subito direttamente hate speech o discriminazioni online. Tra le attività del secondo incontro, inoltre, viene chiesto ai partecipanti di scrivere su dei post-it in forma anonima il messaggio più brutto da cui sono stati feriti nelle comunicazioni online, in chat o sui social. E purtroppo spesso emergono parole ed espressioni terribili. Ecco perché lavoriamo anche per “allenare” a una comunicazione gentile, proponendo esercizi per trasformare le comunicazioni, ad esempio da uno stile giudicante a uno stile più assertivo. Il percorso prevede infine un quiz online tramite cui gli studenti possono sperimentarsi in prima persona per contrastare l’odio online. 

Il Barometro dell’Odio nello Sport, 2ª edizione

L’hate speech online in ambito sportivo è un fenomeno in crescita. Si manifesta per lo più sotto forma di aggressività verbale e ha maggiore incidenza nei commenti social riguardanti il calcio, sport che domina quasi totalmente il flusso dell’informazione sportiva italiana, ma è rilevante anche rispetto a pallavolo e basket. In leggera diminuzione invece sono le espressioni riconducibili a forme di aggressività fisica e discriminazione che comunque rimangono a livelli ancora preoccupanti, soprattutto nei confronti di sportivi che – nella vita reale – parlano e denunciano episodi di razzismo.  

Sono i dati che emergono dalla seconda edizione del Barometro dell’Odio nello Sport, ricerca realizzata dal Centro CODER dell’Università di Torino nell’ambito del progetto Odiare non è uno sport, presentata il 25 ottobre 2023 a Roma, nella Sala dei Presidenti CONI, al Foro Italico. All’evento, moderato dalla giornalista Annamaria Sodano, hanno preso parte il presidente del Centro Sportivo Italiano, Vittorio Bosio, il dirigente del Centro Nazionale Sportivo Libertas, Vittorio Rosati, il dottor Carlo Mornati, Segretario Generale CONI, Sara Fornasir coordinatrice nazionale del progetto Odiare non è un Sport, e Giuliano Bobba e Antonella Seddone, professori dell’Università di Torino, Dipartimento di Culture, Politica e Società, che hanno condotto la ricerca e illustrato i dati del Barometro. A seguire sono intervenuti Alessia Pieretti, pentatleta, Ingrid Van Marle, Presidente dell’Associazione Medaglie d’Oro al Valore Atletico (campionessa mondiale di pattinaggio), e il bronzo olimpico di canottaggio Stefano Oppo con un videomessaggio.

UN MILIONE DI COMMENTI D’ODIO

Lo studio – che fa seguito a una prima edizione realizzata nel 2019 – ha monitorato per tre mesi, dal 1° Ottobre 2022 al 6 Gennaio 2023, i social (Facebook e Twitter) delle 5 principali testate sportive italiane, Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Corriere dello Sport, Sky Sport e Sport Mediaset, identificando quattro principali dimensioni dell’hate speech: linguaggio volgare, aggressività verbale, aggressività fisica e discriminazione. Su un totale di  3.412.956 commenti su Facebook e 29.625 su Twitter analizzati, circa un milione sono stati classificati come hate speech e circa 200.000 contenevano almeno un riferimento alla discriminazione.

Rispetto ai dati del 2019, emerge che la percentuale di post a cui non fanno seguito commenti d’odio su Facebook è diminuita dal 25,7% al 15,1%, mentre i post con più di 25 commenti di hate speech sono aumentati dal 13,6% al 29,8%. Anche su Twitter, dove il volume dei commenti è decisamente inferiore, la percentuale di hate speech è cresciuta in maniera significativa: il 54,9% dei commenti è stato identificato come hate speech, mentre nel 2019 il dato era del 31%. 

La dimensione più frequente di hate speech è rappresentata dall’aggressività verbale con una percentuale che su Facebook è pari al 67,3%, seguita da espressioni di linguaggio volgare (22,1%). Discriminazione ed espressioni riconducibili a forme di aggressività fisica registrano valori più bassi nel 2022 rispetto al 2019, passando rispettivamente dal 7% al 6,5% e dal 6% a al 4,1%. 

«Il fenomeno – spiega il professor Bobba – non è in diminuzione, ma in crescita. Guardando i dati complessivi, soprattutto Facebook, perché Twitter veicola ormai pochi commenti, vediamo che il livello di hate speech generale è aumentato e che sono pochissimi i post a cui non fanno seguito commenti d’odio».

Questo significa che se sono una persona che per informarsi su quanto avviene in ambito sportivo usa i social, quasi sicuramente mi imbatterò in varie forme di hate speech. Le conseguenze possono essere molteplici: posso partecipare anche io a questo flusso, oppure allontanarmi ed evitare quell’ambiente perché resto colpito in maniera negativa.

IL CALCIO DOMINA IN MANIERA SCHIACCIANTE IL FLUSSO DI INFORMAZIONI

Il Barometro dell’Odio nello Sport fornisce anche una panoramica importante sulla rilevanza che hanno i diversi sport nel flusso di notizie online, evidenziando come il calcio sia dominante nelle conversazioni social e nell’attenzione delle testate giornalistiche, con il 96,1% dei post dedicati su Facebook e il 95,2% di quelli su Twitter. Tra le altre discipline, la Formula 1 e il tennis sono gli sport più presenti, davanti a nuoto, motociclismo e basket. 

Tuttavia – sebbene con volumi diversi – tutti gli sport scatenano un importante flusso di commenti d’odio su entrambe le piattaforme: su Facebook, il calcio e la pallavolo presentano le percentuali più alte di commenti contenenti hate speech (rispettivamente 12,4% e 12,7%); su Twitter, il basket si distingue con la percentuale più elevata di linguaggio volgare (15,4%) e aggressività verbale (30,8%), mentre il calcio si caratterizza per la presenza di aggressività fisica (13,5%).

Concentrandosi sui soggetti e le realtà al centro del flusso di informazione, dalla ricerca emerge che tra le squadre di Serie A, quelle che maggiormente scatenano hate speech nei commenti sono su Facebook l’Inter, la Lazio e la Juventus, con percentuali comprese tra il 13,3% e il 13,7%, e su Twitter la Roma (con il 26% di hate speech nelle replies relative a contenuti dedicati alla squadra), la Lazio (24,3%) e il Napoli (22,6%). 

BONUCCI, ALLEGRI ED EGONU BERSAGLIO DI HATE SPEECH

Interessanti sono anche gli approfondimenti che questa edizione dedica ai personaggi dello sport, con focus specifici dedicati ai calciatori, agli allenatori di calcio, ai personaggi sportivi di altre discipline, ai commentatori sportivi e alle compagne dei calciatori, spesso le uniche donne rappresentate dall’informazione sportiva sulle testate nazionali, nella versione cartacea e soprattutto online.

Se tra i calciatori è Leonardo Bonucci ad aver fatto registrare il livello maggiore di hate speech (16,5% su Facebook e 29,2% su Twitter), gli allenatori è Massimiliano Allegri a raccogliere la più alta percentuale di commenti d’odio. Tra gli sportivi non calciatori, su Facebook sono la pallavolista Paola Egonu e il pilota di Formula 1 Verstappen a registrare il volume più alto di commenti contenenti hate speech (rispettivamente 16% e 16,4%). Su Twitter, benché con volumi inferiori, per Egonu quasi un commento su tre veicola linguaggio d’odio. Fra i commentatori sportivi la percentuale di hate speech è particolarmente elevata nei commenti ai post che riguardano Antonio Cassano e Daniele Adani, mentre tra le compagne dei calciatori si registrano alte percentuali di commenti d’odio relativamente ai post riguardanti la cantante Shakira, ex compagna di Gerard Piqué, e Wanda Nara, moglie di Mauro Icardi. 

«In questa edizione – prosegue Bobba – abbiamo cercato di capire qualcosa in più degli attori sportivi. E tra i dati più interessanti troviamo il grande volume di hate speech nei confronti della pallavolista Paola Egonu, a seguito delle sue dichiarazioni di volersi allontanare dalla Nazionale a causa dei commenti razzisti ricevuti nel “mondo reale”. Notizia che l’ha resa target di commenti d’odio online soprattutto sotto forma di discriminazione. Ancora più interessante il dato sul capitano della Nazionale di atletica Gianmarco Tamberi: pochissimi post lo riguardano, ma tantissimi sono i commenti di hate speech che lo prendono di mira, proprio dopo essere intervenuto sul caso Egonu».

Questo ci dice che quando qualche sportivo prende parola nel mondo reale su temi come il razzismo, viene preso di mira online, scatenando un flusso ancora più forte di hate speech, sotto forma di discriminazione.

IMPORTANTE CONTRASTARE IL FENOMENO LAVORANDO CON I GIOVANI

Alla luce di quanto emerge dalla ricerca, diventa allora ancora più importante lavorare con i giovani per studiare e contrastare il fenomeno. «Il Barometro dell’Odio nello Sport – ha commentato Sara Fornasir – Coordinatrice del progetto “Odiare non è uno sport” – documenta l’allarmante crescita di un fenomeno che definisce con toni offensivi e discriminatori il contesto culturale in cui gli utenti del web interagiscono quotidianamente. Interessante è vedere il confronto tra quanto avviene nello sport ad alto livello e il lavoro fatto dagli enti di promozione sportiva con le società dilettantistiche. Sapere che i giovani che praticano sport hanno questo perimetro di attenzione attorno a loro è positivo, perché possiamo muoverci insieme per una mobilitazione reale, anche dal basso, contro l’odio online. Ora la ricerca universitaria proseguirà, nei prossimi mesi, per andare ad analizzare i social più utilizzati dai giovani, come Instagram e TikTok, e vedremo se le tendenze sono simili o differenti, anche perché crediamo che i giovani possano essere divulgatori di una comunicazione orientata al rispetto e alla tolleranza».

«Il CSI – afferma Vittorio Bosio, Presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano – è da sempre in prima linea nel promuovere lo sport inteso come veicolo di crescita, inclusione e confronto. E non ha potuto far mancare la propria voce nel progetto “Odiare non è uno sport”. Poniamo infatti grande attenzione alla dimensione digitale dei confronti e delle relazioni, negli ultimi anni inquinate, con il diffondersi dei social media, sovente da insulti, scontri, parole e minacce d’odio. Lo sport deve rimanere un gioco, un divertimento e mai sfociare in odio. Ogni partita è sempre un incontro. Avversari sì. Nemici mai».

«“Odiare non è uno Sport” – spiega Andrea Pantano, Presidente nazionale Libertas – è per noi estremamente significativo, perché ci permette di contribuire alla costruzione di uno sport che sia luogo e ambiente sicuro, soprattutto per i giovani e giovanissimi. Ogni parola che lede la dignità di una persona, che la ferisce e che la fa sentire un bersaglio è pura violenza. Un’aggressione che può minare il delicato percorso di crescita dei nostri ragazzi, facendoli sentire soli, sbagliati e fragili. Lo sport può e deve essere una possibilità di autorealizzazione e di sperimentazione di sé, un posto in cui sentirsi sé stessi e al sicuro. Per questo abbiamo scelto di far parte di questa importante progettazione».


Odiare non è uno sport è un progetto educativo e una campagna di sensibilizzazione per prevenire e contrastare l’hate speech online nello sport, anche con il coinvolgimento di campioni sportivi come testimonial. Tra il 2023 e il 2024, lavorerà con le scuole e le società sportive di 7 regioni, attraverso unità didattiche e percorsi formativi interattivi per far riflettere i ragazzi sul fenomeno, permettere loro di riconoscerlo e contrastarlo, e arriverà a coinvolgere 600 docenti e 2200 studenti di scuole secondarie di 7 regioni italiane, 300 dirigenti di società sportive, 900 giovani sportivi di età compresa tra 11 e 18 anni, 540 allenatori sportivi di target giovanile. Il progetto prevede anche strumenti informatici per contrastare l’hate speech online, come un software sonda per intercettare i discorsi d’odio e un albero delle risposte per smorzare i toni delle conversazioni, elaborato dall’Università di Trieste. Inoltre, ha attivato nove squadre giovanili anti-odio per monitorare i principali social e spezzare la catena dell’odio online. Il progetto, realizzato con il sostegno dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, è promosso da CVCS in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (Amici dei Popoli ONG, ASPEm, CELIM Milano, COMI – Cooperazione per il mondo in via di sviluppo, Cope Cooperazione Paesi Emergenti, LVIA, Progettomondo), gli enti di promozione sportiva Centro Sportivo Italiano e Centro Nazionale Sportivo Libertas, Informatici Senza Frontiere APS e ImpactSkills per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (Università degli Studi di Torino e Università degli Studi di Trieste) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica.

Giornata Mondiale dello Sport, riparte la campagna!

Campioni e campionesse, società sportive, associazioni, scuole e studenti uniti per dire no all’hate speech nello sport, è così che riparte con nuovo slancio il progetto Odiare non è uno sport, per prevenire e contrastare i messaggi d’odio online in ambito sportivo

Veicolo di crescita e confronto, palestra di vita, lo sport  coinvolge milioni di ragazzi e ragazze nel nostro paese ed è un importante terreno di inclusione e aggregazione sociale. Allo stesso tempo però lo sport è divenuto anche, e sempre più, terreno di scontri, discorsi e gesti d’odio, che nella dimensione digitale si potenziano e diffondono in maniera esponenziale.

Secondo la ricerca di Coder (UniTo) del 2020, sulle pagine Fb delle 5 principali testate sportive nazionali tre post su quattro ricevono commenti di hate speech

È così che, anche grazie all’aiuto di diversi campioni azzurri, in occasione della Giornata Mondiale dello Sport 2023, riprende nuovo slancio la campagna #Odiarenoneunosport, sostenuta dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promossa dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo (CVCS), con un fitta rete di partners su tutto il territorio nazionale.  

Guarda il video reel

Avviata nel 2020 con un primo studio del fenomeno affidato all’Università di Torino (Centro Coder) che ha elaborato il primo Barometro dell’Odio nello sport, monitorando i principali social media e le testate giornalistiche sportive, la campagna ha raccolto le testimonianze di campioni dello sport azzurro come Igor Cassina, Paola Egonu, Stefano Oppo, Alessia Maurelli, Frank Chamizo, Valeria Straneo, Angela Carini e tanti altri. Al loro fianco le straordinarie storie di  inclusione sociale avvenute attraverso lo sport sul territorio italiano e l’adesione spontanea di decine di sportivi, professionisti e dilettanti, associazioni, scuole o semplici cittadini che sostengono la campagna ritraendosi con la scritta Odiare non è uno sport . Qui la Gallery

Riparte oggi con nuovo slancio non solo la campagna di sensibilizzazione, che si svolgerà contestualmente alla delicata fase della preparazione Olimpica degli Azzurri verso Parigi 2024, ma anche un importante progetto di prevenzione e contrasto all’hate speech. Progetto che porterà alla realizzazione del secondo Barometro dell’Odio nello sport e al coinvolgimento in percorsi formativi interattivi e multimediali sulle dinamiche dell’odio nello sport 600 docenti di scuole secondarie, 540 allenatori sportivi del target giovanile, 300 dirigenti di società/ASD, 2200 studenti di scuole secondarie di I e II grado e 900 giovani sportivi della fascia 11-18.

Saranno costituite anche 9 squadre territoriali di attivisti digitali  anti-odio, composte da studenti e giovani coinvolti nelle attività di formazione, che condurranno azioni di contrasto all’hate speech sportivo in chat e social frequentati dai giovani, attivando reazioni e risposte di valenza dissuasiva ed educativa.

Tutti insieme, con nuovo entusiasmo e determinazione e un obiettivo comune: dire no all’odio nello sport e nella vita. 

Il progetto è sostenuto dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo e promosso dal Centro Volontariato Cooperazione allo Sviluppo, in partenariato con 7 ong italiane con ampia esperienza nell’educazione alla cittadinanza globale (ADP, Aspem. CeLIM, COMI, COPE, LVIA, Progettomondo),  gli enti di promozione sportiva CSI e Libertas, Informatici senza Frontiere e Impactskills srl per lo sviluppo delle soluzioni tecnologiche e due Atenei (UniTo e UniTs) per la realizzazione della ricerca e la supervisione scientifica

Materiale sportivo per i bambini di Casa Priscilla

Hanno alle loro spalle abbandoni o soprusi subiti proprio da chi li doveva amare di più, background difficili di immigrazione, povertà o solitudine, briciole di vita da cui ripartire. Sono i minori ospiti di Casa Priscilla, struttura di Padova che dal 2001 accoglie mamme e minori in difficoltà ai quali offre un ambiente sereno e protetto, una “casa” di amore e di affetti, possibilità di un futuro migliore.

Informatici Senza Frontiere ha voluto concludere assieme a loro i progetto “Odiare non è uno sport”, che tra il 2019 e il 2021 ha squarciato un velo sull’odio in rete e le discriminazioni in ambito sportivo.

Per i ragazzi di Casa Priscilla proprio lo sport è infatti occasione di rinascita, di gioia spensierata, territorio di amicizia e di fratellanza. Spesso manca però la materia prima: scarpe, palloni, abbigliamento sportivo. Così, grazie all’interessamento di Libertas Padova e alla collaborazione di Un Sesto Acca, Informatici Senza Frontiere ha messo le scarpe da corsa ai piedi dei ragazzi di Casa Priscilla e dotato la Casa di attrezzatura per far loro praticare calcio, atletica, un po’ di sport di base.

L’iniziativa ha visto la partecipazione dell’assessore allo sport del Comune di Padova, Diego Bonavina, che ci ha tenuto a dare il suo appoggio all’iniziativa e dire, ancora una volta, Odiare non è uno sport.

Qui un breve video sulla cerimonia di consegna dei regali

Radio Sherwood e Tele Radio City Onlus per Odiare non è uno sport

Dopo aver creato output di contro-narrazione i cui protagonisti sono stati atleti, dirigenti sportivi e altre figure legate al mondo dello sport, giunte e giunti al termine del progetto, l’equipe di Radio Sherwood e due ragazze che stanno svolgendo uno stage Erasmus + per Tele Radio City Onlus raccontano così Odiare non è uno sport. “Ecco cos’è questo progetto per noi e cosa ci ha lasciato”. Per voi un video e una gallery fotografica.

Padova contro l’hate speech

Venerdì 19 marzo Padova si è unita al presidi che si sono tenuti in 10 città d’Italia per dire no all’hate speech e promuovere lo sport inclusivo. I volontari di Amici dei Popoli e di Tele Radio City si sono ritrovati in piazza Portello, con striscioni e cartelli per segnalare i principali dati relativi all’hate speech online rilevati dal Barometro dell’Odio nello Sport. Il presidio, che è stato organizzato in forma statica e nel pieno rispetto delle norme anti-Covid, è stato un momento impotante per fare informazione e contrastare il fenomeno dell’odio online.

Una giornata di mobilitazione in 10 piazze italiane per dire no all’hate speech nello sport

Oggi – venerdì 19 marzo – in dieci piazze italiane i nostri attivisti hanno organizzato azioni dimostrative – nel pieno rispetto delle norme anti-Covid e del distanziamento – per dire no all’hate speech e a ogni forma di discriminazione nello sport. Da Roma a Torino, da Padova a Catania, da Cuneo a Milano, passando Rovigo, Gorizia e Verona. Iniziative simboliche e creative partecipate a distanza da migliaia di persone grazie al rilancio sui social

In oltre un anno di progetto abbiamo lavorato per creare maggiore consapevolezza sul fenomeno, coinvolgere giovani e realtà sportive, dar vita a una narrazione positiva dell’inclusione in ambito sportivo, mobilitare e formare giovani attivisti che agissero contro l’odio online nelle conversazioni sportive.

Dodici campioni olimpici hanno aderito e portato le loro testimonianze mentre si sono coinvolti attivamente oltre 3000 giovani in tutta Italia, 200 insegnanti, 150 allenatori di società sportive che hanno partecipato alle attività del progetto. Alcune centinaia hanno anche voluto “metterci la faccia” postando le proprie foto con la scritta Odiare non è uno sport (vedi la gallery). In sette regioni inoltre sono nate delle squadre anti-odio, gruppi di giovani che, opportunamente formati, si sono attivati per intercettare i discorsi d’odio online sui principali social sportivi e intervenire per smorzare i toni e riportare le conversazioni su un piano corretto.

Alcune immagini delle mobilitazioni del 19 marzo

Il progetto Odiare non è uno sport è finanziato dall’ Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, promosso da CVCS – Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo e realizzato grazie a una fitta rete di partner su tutto il territorio nazionale. CISV, LVIA , Amici Dei Popoli Padova, Amici dei Popoli ONG, Cope Cooperazione Paesi Emergenti, CELIM Milano, Progettomondo, SIT – Social innovation teams, Informatici Senza Frontiere APS, Radio Sherwood, ONG 2.0, Csen Nazionale.

Un presidio in 10 città italiane (e un video di Giovanni Storti) per dire no all’Hate Speech nello sport

Il 19 marzo 2021 sono organizzati in contemporanea in 10 città italiane momenti di mobilitazione giovanile creativa, nel rispetto delle norme e del distanziamento fisico, per attirare l’attenzione della cittadinanza sul fatto che i linguaggi d’odio non appartengono alla pratica sportiva, ma anzi ne contraddicono i principi e il senso. 

In vista del 21 marzo, Giornata internazionale contro il razzismo, l’obiettivo dell’azione è tutelare il diritto ad una comunicazione pacifica e inclusiva e stimolare una riflessione sul tema aumentando la consapevolezza dei giovani sugli impatti devastanti dell’hate speech tanto online che offline

Secondo il Barometro dell’Odio nello Sport, l’hate speech è ormai una componente strutturale delle conversazioni sportive, potenziata dai meccanismi virali della comunicazione digitale. 

Su 4.857 post analizzati, per un totale di oltre 443mila commenti alle pagine Facebook delle cinque principali testate giornalistiche sportive nazionali (Gazzetta dello Sport, TuttoSport, Corriere dello Sport, SkySport, Sport Mediaset), è emerso che tre post su quattro ricevono commenti che contengono una qualche forma di hate speech

Ma noi non ci arrendiamo! Lo sport è anche un potente strumento di integrazione sociale e socializzazione e l’hanno ribadito gli oltre 3000 giovani, 200 insegnanti e 150 allenatori di società sportive che quest’anno hanno partecipato attivamente al progetto.

Si sono mobilitati anche personaggi dello spettacolo, che hanno dato il loro supporto alla campagna, come Giovanni Storti, del famoso trio Aldo giovanni e Giacomo, che sostiene in questo video ironico la mobilitazione del 19 marzo 

Il progetta culmina con i presidi del 19 marzo dove, attraverso brevi performances sportive nel rispetto del distanziamento fisico, e la presentazione di materiali informativi nelle diverse città italiane si rilancerà la scritta Odiare non  è uno sport ripresa e fotografata dagli uffici comunicazione dei diversi enti partners per realizzare in contemporanea un “Flash Mob online” coinvolgendo le scuole e associazioni sportive già precedentemente contattate dalle attività del progetto.

Ecco dove ci potrete trovare venerdì 19 marzo:

– a Catania, in Via Crociferi (centro storico), dalle ore 16

– a Cuneo, in via Roma, dalle ore 16.30

– a Gorizia, in piazza Vittoria, dalle ore 15

– a Milano, in piazza Castello, dalle ore 15

– a Padova, in via del Portello, dalle ore 15, e poi anche per le strade della città

– a Roma, in piazza del Colosseo nel pomeriggio

– a Rovigo, per le strade della centro nel pomeriggio

– a Torino, in piazza Castello e in piazzetta Reale, dalle ore 15.30

– a Verona, in piazza Brà, dalle ore 15

Guarda il video spot dell’iniziativa e partecipa anche tu!

Il Barometro dell’Odio nello Sport

Quanti discorsi d’odio ci sono nelle conversazioni online in ambito sportivo? Con l’Università degli Studi di Torino abbiamo realizzato il Barometro dell’odio nello Sport, la prima ricerca italiana che monitora le pagine social delle cinque principali testate sportive italiane. I ricercatori del centro CODER hanno analizzato 443.567 post su Facebook e 16.991 su Twitter. Con risultati sorprendenti.

di Silvia Pochettino

Quanta volgarità, minacce e insulti anche a sfondo razziale o sessista sono presenti nelle discussioni on line che parlano di sport? Se da un lato lo sport è spesso strumento di integrazione e trasmissione di valori, soprattutto quando praticato, dall’altro, specialmente nella dimensione del tifo, può diventare un elemento divisivo che inasprisce la competizione fino a trasformarla in conflitti anche violenti. Ma quanto influisce in tutto questo l’uso dei social network? Che frequenza e che caratteristiche hanno i linguaggi d’odio online nello sport italiano?

Prova a rispondere a queste domande il Barometro dell’odio nello Sport, ricerca realizzata dal Centro CODER dell’Università di Torino nel quadro del progetto  Odiare non è uno sport

Il primo risultato che salta agli occhi dal monitoraggio delle pagine Fb e Twitter delle principali testate sportive nazionali (La Gazzetta dello Sport, Tuttosport, Il Corriere dello Sport, Sky Sport e Sport Mediaset) realizzato dal 7 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020, è che esiste un livello costante di hate speech al di sotto del quale non si scende mai, pari al 10,9% dei commenti su Facebook e 18,6% su Twitter. 

I messaggi d’odio risultano dunque una componente non solo rilevante ma strutturale delle conversazioni sportive sui social media. 

Tuttavia, Facebook e Twitter sono diversi, sia per numero di commenti sia per la presenza di hate speech. A parità di messaggi pubblicati, Facebook genera un volume di commenti 26 volte superiore a quello di Twitter. Ma, mentre l’hate speech raggiunge il 13,4% dei commenti su Facebook, su Twitter arriva al 31% .

Se si vanno poi ad approfondire le modalità con cui si manifesta l’hate speech, il linguaggio volgare (14% su FB e 31% su Twitter) e l’aggressività verbale (73% e 60%) sono le forme più frequenti. Tuttavia, anche discriminazione (7% e 5%) e aggressività fisica (5% e 4%) non sono irrilevanti. La ricerca ha infatti individuato circa 5.000 commenti contenenti elementi di questo tipo pubblicati dagli utenti in un arco di tre mesi.

Infine, dato prevedibile, gran parte del traffico di notizie sui social e di conseguenza la maggior parte degli episodi di hate speech sono da ricondurre al mondo del calcio.. Emerge che Mario Balotelli e Romelu Lukaku sono i personaggi sportivi su cui si concentrano più commenti di hate speech (rispettivamente 16,7% su Facebook e 38,3% su Twitter; 15,5% su Facebook e 40,6% su Twitter)  contenenti insulti e discriminazione razziale (rispettivamente 2,1% su Facebook e 5,6% su Twitter; 1,9% su Facebook e 2,4% su Twitter).  

Infine è interessante notare come su Facebook, dove è possibile commentare i commenti degli altri,  l’hate speech risulta più elevato nelle discussioni tra utenti rispetto ai commenti ai post. Ovvero il maggior numero di riferimenti al linguaggio d’odio non risulta correlato al contenuto dei post ma piuttosto alle prese di posizione di altri utenti

Guarda la presentazione live del Barometro con Giuliano Bobba, dell’Università di Torino, autore della ricerca, e Sara Fornasir coordinatrice del progetto Odiare non è uno Sport

La “fase 3” dello sport dilettantistico

Webinar – Quale futuro per i processi di integrazione?

Quale sarà il futuro dello sport dilettantistico in seguito alla pandemia e quali le prospettive e le azioni concrete da sviluppare per continuare i processi di integrazione? Giovedì 4 febbraio, alle ore 19, saremo online per un Webinar dedicato al tema, a cui sarà possibile partecipare via Zoom e che sarà trasmesso in diretta sulla pagina FB di Odiare non è uno sport.

Clicca qui per iscriverti – ISCRIZIONE WEBINAR 4 FEBBRAIO 2021

L’appuntamento, dal titolo “La ‘fase 3’ dello sport dilettantistico: quale futuro per i processi di integrazione?”, coinvolge realtà sportive e atleti intercettati nel corso della campagna di contronarrazione del progetto. Sarà occasione per riflettere sulla situazione che sta vivendo il mondo sportivo, a causa della pandemia. Un contesto dove, con gli stadi chiusi, l’unico serbatoio in cui riversare l’odio sono rimasti i social. Mentre, con lo stop allo sport di base e dilettantistico, è fermo quel mondo che porta avanti percorsi educazione e socializzazione che mirano alla lotta contro ogni discriminazione.

Dall’inizio della pandemia la situazione economica e sociale è peggiorata, le disuguaglianze si sono acuite, chi era già in una situazione di difficoltà ora a stento riesce a sopravvivere. Il mondo dello sport popolare e indipendente si è messo al servizio delle comunità: una scelta che ha portato fuori dai campi di gioco la necessità di combattere le discriminazioni amplificate dalla situazione sanitaria.

Ne parleremo con Camilla Previati (ASD Quadrato Meticcio – Padova), Stefano Carbone (Polisportiva San Precario – Padova), Jacopo Mazziotti (St. Ambroeus FC – Milano), Federico Dagoli (Atletico No Borders – Fabriano), Teresa Carraro (Criminal Bullets – Roller Derby Padova), Marco Proto (RFC Ska Lions Caserta), Enzo Ardilio (Briganti Librino Catania).

Conduce e modera: Davide Drago (Sportallarovescia)

Contrastare l’odio, nei social network come nello sport, implica una presa di responsabilità, che parte in primis dalla conoscenza del fenomeno e prosegue con una imprescindibile educazione al rispetto delle diversità. L’odio nei social network e nello sport si interconnettono costantemente; ad accrescere questa tesi basti pensare che nel mondo dello sport perfino “gli odiatori” hanno bisogno dell’avversario.

Dal 7 ottobre 2019 al 6 gennaio 2020 il centro CODER dell’Università di Torino ha monitorato alcuni social network – analizzando 443.567 post su Facebook e 16.991 su Twitter – delle cinque principali testate sportive italiane. Ne è uscito un Barometro che, purtroppo, segnala “alta pressione”. Il risultato più rilevante della ricerca è che il linguaggio d’odio è una componente strutturale del linguaggio sportivo, che si può classificare con quattro dimensioni: linguaggio volgare, aggressività verbale, minacce e discriminazione.

In una rivelazione svolta dall’Università di Milano, nel periodo marzo-settembre 2020, sono stati raccolti 1.304.537 tweet dei quali 565.526 negativi, contenti parole d’odio (il 43% circa vs. 57% positivi). Quello che emerge è una decrescita significativa dei tweet negativi rispetto al totale dei tweet raccolti. “Fattore determinante nell’analisi di quest’anno è stato lo scatenarsi della pandemia da Covid-19” osserva la ricerca, secondo la quale “ansie, paure, difficoltà si sono affastellate nel vissuto quotidiano delle persone, contribuendo a creare un tessuto endemico di tensione e polarizzazione dei conflitti”.

Anche lo sport viene da un anno epocale: per due mesi abbondanti tra metà maggio e fine luglio 2020 è sostanzialmente sparito, tanto al livello professionistico quanto a quello dilettantistico e di base. Ancora oggi lo sport di base e dilettantistico è fermo. Con gli stadi chiusi l’unico serbatoio in cui riversare l’odio è rimasto l’ambiente social. Di contro, con il blocco dello sport di base e dilettantistico, è ancora fermo quel mondo che oltre all’attività sportiva, porta avanti percorsi educazione e socializzazione che mirano alla lotta contro ogni discriminazione. In questo contesto si inseriscono le realtà di sport popolare e indipendente attive sul nostro territorio, che si sono messe al servizio delle comunità, senza chiedere nulla, spinti dall’urgenza e dalle necessità di singoli e famiglie: una scelta che ha portato fuori dai campi da gioco la necessità di combattere le discriminazioni amplificate dalla pandemia.