Vittoria Di Dato: la marcia e la felicità della fatica

La marcia è uno sport di grande tecnica. Uno sport che richiede tenuta mentale, allineamento tra l’obiettivo e la capacità di sostenere la fatica, metro dopo metro, con l’asfalto o il tartan che scorrono sotto i piedi. Vittoria Di Dato ha vent’anni compiuti da poco, ha abbracciato l’atletica che era una bambina e ha conosciuto la marcia dopo alcuni anni, nel 2017. Da allora, non solo non l’ha più abbandonata, ma ha scalato metro dopo metro le classifiche e i sogni, fino a divenire una delle giovani promesse azzurre che guardano al futuro.

di Ilaria Leccardi

Vittoria, come inizia la tua storia con la marcia?

Ho cominciato a praticare l’atletica in quarta elementare, undici anni fa. Inizialmente mi sono dedicata alla corsa ma poi, passata alla categoria cadetti, seguendo l’esempio di una ragazza che si allenava con me e marciava, ho provato anche io questa disciplina. Mi è subito piaciuta ed evidentemente ero portata. Dopo aver esordito con la marcia nella Polisportiva Colverde, mi sono spostata a Cantù, dove mi sono allenata per tanti anni con Vittorio Zeni, uno dei maestri della marcia azzurra, che aveva già cresciuto importanti talenti e che purtroppo è mancato lo scorso anno.

Un grande dolore per una figura che segnato positivamente il tuo percorso, proiettandoti nella marcia di altissimo livello.  

Sicuramente sì. Tant’è che dopo la sua scomparsa ho iniziato a essere seguita direttamente da Alessandro Gandellini, ex marciatore, azzurro alle Olimpiadi di Sydney e Atene, e attuale responsabile tecnico del settore marcia della Federazione italiana di atletica.

Sei già stata due volte campionessa italiana outdoor nella 10 km, nella categoria allieve (nel 2020) e junior (nel 2021). Quali sono state invece le tue prime esperienze internazionali in azzurro?

Agli Europei di Tallin nel luglio 2021 ho vestito per la prima volta la maglia della nazionale per la gara dei 10 km di marcia. Ero nel mio primo anno nella categoria Under20, la gara non è andata come speravo, ma l’emozione è stata enorme, anche perché mi confrontavo con atlete di tutta Europa e sentivo finalmente di essere entrata nel vivo della disciplina. Nel 2022 ho disputato la Coppa del Mondo a Muscat, in Oman, arrivando decima su strada nella 10 km, e i Campionati Mondiali Under20 a Cali, in Colombia. Infine, quest’anno, con il passaggio alla categoria Under23, ho disputato gli Europei in Finlandia, dove ho chiuso undicesima, ma gareggiando assieme a ragazze del 2002 e 2001. Ho fatto segnare il mio secondo tempo e lo ritengo un grande risultato.   

La marcia è uno sport molto duro, sia dal punto di vista fisico che mentale. Come ti alleni e qual è l’equilibrio tra l’attività di alto livello e il resto della tua vita?

Ho finito il primo anno di Università, alla Cattolica di Milano, in Lingue, comunicazione, media e culture digitali. All’inizio è stato difficile trovare una routine giusta. Tra il cambiamento di allenatore e l’inizio dell’università, il mese di settembre 2022 è stato un momento delicato. Ma ora ho trovato un buon ritmo. Continuo a vivere nel paesino di Oltrona, studio a Milano e mi alleno a Sesto San Giovanni, seguita da Alessandro. I ritmi della marcia sono duri: mi alleno sei giorni a settimana, spesso anche con due sessioni al giorno, mattina e sera.

Un tuo allenamento tipo?

Gli allenamenti sono vari e differenziati. Ci sono periodi in cui principalmente marciamo, 15 km in settimana e 20 o 25 km il sabato. Durante l’inverno invece facciamo più potenziamento, anche in palestra, con esercizi a corpo libero e circuiti per alzare i battiti cardiaci. Poi ci sono i giorni in cui ci dedichiamo alle ripetute: riscaldamento, 5 km di marcia e poi ripetute su 500 o 1000 metri.

Sempre con il tuo allenatore?

Lui mi segue sempre, talvolta in presenza altre a distanza. Quando esco a marciare al mattino generalmente sono sola, al pomeriggio invece sono spesso i miei genitori a seguirmi in bicicletta. Se i risultati arrivano, sono frutto di tutti.

L’Italia è un paese della grande storia nell’atletica, in particolar modo nella marcia. C’è qualche figura a cui ti ispiri in modo particolare?

Sicuramente Antonella Palmisano, oro Olimpico a Tokyo nel 2021 nella 20 km. La seguo da sempre e poi l’ho conosciuta di persona e ho avuto l’opportunità di allenarmi con lei lo scorso aprile a Ostia, durante un raduno. È una persona molto umile, alla mano, ma al tempo stesso molto determinata. Dopo Tokyo è stata ferma un anno, senza gareggiare, per un infortunio, ma poi è riuscita a tornare e quest’anno ha conquistato il bronzo ai Mondiali di Budapest. Un esempio per tutte noi. Io non mai dovuto affrontare grandi delusioni, ma nel 2018 sono stata ferma diversi mesi per un edema osseo alla testa iliaca dell’anca. È stato un periodo difficile, immagino dunque cosa voglia dire per una campionessa olimpica non potersi esprimere in gara e affrontare il dolore come ha fatto Antonella. Ma tra i miei punti di riferimento c’è anche Valentina Trapletti, che ha disputato gli ultimi Mondiali e sarà ai Giochi di Parigi 2024, ci alleniamo insieme e la reputo un esempio sportivo.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi sportivi e cosa ti aspetti dal futuro?

Nel 2024 per me l’appuntamento più importante saranno i Giochi del Mediterraneo. Inoltre, vorrei lavorare per migliorare i miei tempi, sia nella 10 km sia nella 20 km. Ovviamente è anche l’anno olimpico, ma io a Parigi non ci sarò. Tuttavia, ho l’opportunità di confrontarmi in allenamento con azzurri di spicco, come la stessa Valentina, ma anche Sara Vitiello, Riccardo Orsoni e Stefano Chiesa… Insomma, ormai mi sento nella scia della marcia che conta e se devo guardare in là posso sperare solo di crescere e di arrivare al meglio nel prossimo quadriennio.

Il nostro progetto, Odiare non è uno sport, mira a contrastare le forme di hate speech online in ambito sportivo, rivolgendosi in particolar modo ai giovani. Tu che rapporto hai con i social media?

Un rapporto positivo e certo non di dipendenza. Uso Whatsapp e Instagram e non sono mai incappata in esperienze negative nel loro utilizzo. Pubblico i risultati delle mie gare, ricevo sempre e solo complimenti. Ma sono consapevole che sui social possono innescarsi dinamiche negative, soprattutto a danno dei più giovani, e bisogna stare attenti.

Qual è il principale insegnamento della marcia e perché la consiglieresti come sport a una giovane o un giovane?

La marcia è uno sport capace di insegnare molto. Sicuramente lo fa dal punto di vista educativo, perché devi essere una persona umile, letteralmente e simbolicamente con i piedi per terra. Ma anche perché ti insegna a resistere alla fatica e questo, sembra strano, può dare felicità.

Nella maggior parte dei casi dopo un allenamento, che vi assicuro è sempre faticoso, sono felice. Perché sento che mi sono migliorata, in una sfida costante, non tanto con gli altri – perché questo arriva poi nel momento della gara – ma con me stessa. Mi aiuta a conoscermi e ad andare oltre ai miei limiti.