Luca Panichi, lo scalatore in carrozzina

Scalare le vette guardando verso l’alto. Anche se – e forse proprio perché – la vita ti ha posto di fronte a una sfida enorme. Luca Panichi è un ciclista la cui storia in sella alla bicicletta inizia all’età di otto anni, sulle orme dell’idolo Francesco Moser, e si interrompe bruscamente e drammaticamente il 18 luglio 1994, quando viene investito da un’auto durante il cronoprologo del Giro dell’Umbria Internazionale dilettanti.

La paura, lo sgomento, aggrapparsi alla vita. Da allora Luca non può più camminare. Ma lui sa cosa voglia dire affrontare una sfida, si porta dentro un bagaglio di energia fisica e mentale che nasce dall’esperienza sportiva di anni, la voglia di migliorarsi ogni giorno. Il limite per Luca non è un ostacolo, ma il punto di ripartenza. Ed è così che decide di riprendersi le sue salite, non più in sella alla bici, ma a bordo della sua carrozzina. A testimoniare che l’unico limite vero sta dentro di noi.

Dal 2009 le sue imprese vanno a braccetto con il Giro d’Italia professionisti. In ogni edizione Luca ha affrontato una salita, conquistando una serie di cime storiche, dal Block House al Passo del Tonale, dal Ghiacciaio del Grossglockner al Passo dello Stelvio, dalle Tre cime di Lavaredo allo Zoncolan, dal Colle delle finestre alla Cima Oropa. Tra le sue partecipazioni anche a quella alla Granfondo Terre dei Varano.

Le sue non sono solo imprese sportive, ma sono diventate la metafora di una forza che Luca incarna in ogni metro macinato. Una forza che porta su di sé i nomi di Fabio Casartelli, di Michele Scarponi, di Marco Pantani, ma anche gli incontri con tanti giovani appassionati di sport e studenti a cui Luca si rivolge raccontando la propria storia e portando un messaggio positivo.

Per il progetto Odiare non è uno sport lo abbiamo intervistato, per ascoltare la sua sua storia e la sua forza, le sue riflessioni sullo sport paralimpico e, in quanto referente Csen per lo Sport Integrato, il suo appello a una narrazione sportiva che punti non a scatenare l’aggressività ma a proporre modelli positivi, campioni che sappiano trasmettere un senso di condivisione. Perché – spiega Luca – “a prescindere dai risultati, lo sport ci serve per amare la vita, noi stessi e gli altri”

L’intervista a Luca Panichi