Studenti in campo contro il bullismo: la storia di Lorenzo

Il contrasto all’odio e al bullismo deve partire dalla scuola, rendendo i ragazzi protagonisti del cambiamento. Odiare non è uno sport prevede una serie di attività per i coinvolgere i giovani nel ruolo di “antenne” che dovranno intercettare i discorsi d’odio online e interromperli, diventando dei veri e propri attivisti anti hate speech. Un’esperienza simile a quella che due anni fa venne proposta e sperimentata in un Liceo umbro grazie all’intervento di Forma.Azione, uno dei partner del progetto. A raccontarla è Lorenzo, tra i protagonisti di quel percorso.

di Ilaria Leccardi

Mi chiamo Lorenzo Bartolucci e sono uno studente di Filosofia e Scienze e Tecniche psicologiche all’Università di Perugia. Due anni fa, con il mio Liceo classico, il Sesto Properzio di Assisi, ho partecipato al progetto “Cliccando positivo”, giunto nella nostra scuola grazie all’insegnante di Scienze motorie, la professoressa Paola Pagliacci. Assieme agli altri ragazzi della quarta, sono stato formato sul tema del cyberbullismo per poi lavorare con i ragazzi delle classi inferiori alla nostra attraverso un insegnamento peer to peer.

Cosa prevedeva il progetto?

Inizialmente una parte di formazione e autoconsapevolezza, da sviluppare attraverso esercizi di vario genere, anche in forma ludica. Poi veniva la parte più riflessiva e introspettiva, in cui ognuno analizzava i propri comportamenti e i comportamenti altrui. Ciascuno era chiamato a fornire la propria idea di “insulto” e a comunicare agli altri come si era sentito ricevendo un certo tipo di insulto. Abbiamo affrontato il tema del bullismo esercitato di persona, ma soprattutto quello del cyberbullismo: insulti immateriali che risuonano come un’eco, che finisce per rimbombare nelle orecchie di chi è preso di mira.

Com’è stata l’esperienza con i ragazzi più giovani?

Ci siamo divisi in due gruppi, ciascuno dei quali si è occupato di due classi, sviluppando un proprio metodo di intervento, portando degli esempi, anche iconici per far comprendere concetti complessi. Come l’esempio della mela: si taglia in due e una delle due parti viene ammaccata e lasciata annerire internamente; quando la si ricompone sembra integra e bella, o comunque alla classe viene mostrato solo il lato buono. A quel punto si chiede di scrivere o pronunciare una serie di insulti che verranno simbolicamente “assorbiti” dalla mela. All’esterno la mela rimane bella ma internamente la mela è compromessa. E solo alla fine si mostrerà l’interno marcito.

Siete diventati dei veri e propri formatori e questo cos’ha significato nella vita quotidiana all’interno della scuola?

Siamo diventati registi attivi di un processo, per cui ogni volta che si fosse verificato un momento di violenza verbale o fisico o un accenno di bullismo era nostro compito intervenire.

E nei ragazzi più giovani hai notato sensibilità al tema?

Non è sempre semplice. La presa di coscienza in percorsi come questi è molto soggettiva.

Nel mio ruolo ho cercato di osservare, oltre alle parole dei ragazzi, anche le loro reazioni spontanee. I più prepotenti tendevano a fare ironia sull’argomento o addirittura c’era chi cercava di giustificare un certo tipo di azioni, considerando ciò che avevano fatto o detto non particolarmente grave. I ragazzi più sensibili e sottomessi, invece, tendevano alla chiusura, alla timidezza.

Il lavoro da fare è ancora molto lungo.

Diventa un Attivista anti hate speech nel mondo sportivo contattando uno dei seguenti enti (anche se non sei di una delle regioni nominate puoi comunque collaborare a distanza):

Foto di apertura: Alexas_Fotos da Pixabay