“Attivisti anti hate speech” e un software per interrompere l’odio online

Rispondere ai discorsi d’odio online, per combattere il fenomeno direttamente tra le maglie dei social. In quella mole di commenti, parole, spesso insulti, servono gli strumenti giusti per bloccare un flusso che tante volte si trasforma in escalation d’odio. Fin dal suo esordio come progetto, Odiare non è uno sport ha messo in campo diversi strumenti per comprendere, analizzare e combattere l’hate speech online in ambito sportivo. Tra questi due strumenti particolarmente efficaci per rispondere puntualmente ai commenti d’odio che proliferano sui social media. Da una parte l’elaborazione di un albero delle risposte studiato per intervenire sui social in forma automatica tramite un chatbot, dall’altra la formazione di un certo numero di ragazzi che agiranno da “antenne” dell’odio online, andando a intercettare eventuali situazioni spiacevoli che si generano sui social e rispondendo con messaggi per “allentare” o “interrompere” il flusso negativo di commenti.

Per entrambe gli strumenti è stata fondamentale la consulenza della psicologa Marta Stragà, che fa parte del laboratorio di Memoria e Decisione del Dipartimento di Scienze della Vita (Università di Trieste, di cui è responsabile il professor Fabio Del Missier) e ci ha aiutato a comprendere la modalità di sviluppo delle risposte pertinenti.

La prima fase dello studio, spiega la psicologa, «ha previsto una selezione di commenti effettuata attraverso un “software sonda” che ha estratto da un gruppo di tweet e commenti molto ampio, un sottogruppo potenzialmente problematico. Commenti che sono stati poi analizzati da due giudici indipendenti che hanno selezionato quelli considerati offensivi. E a ogni commento selezionato è stata accoppiata una risposta, dando così vita a un set di coppie commento-risposta utile come “modello” per il software che “impara” così a riconoscere commenti simili a quelli del nostro set, fornendo la risposta che è stata accoppiata al commento più simile».

L’obiettivo dell’intervento da parte del laboratorio dell’Università di Trieste è stato creare una serie di risposte che potessero essere fornite in maniera automatica, senza la mediazione umana. «Non potendo stabilire una comunicazione diretta con l’interlocutore, le frasi di risposta sono state costruite in forma impersonale (per es. “è comprensibile che…”)». Alcune di queste risposte, prosegue Stragà, possono essere valide per commenti differenti, ma bisogna tenere in considerazione che il risponditore automatico non può essere addestrato a rispondere in maniera argomentata a episodi specifici

Le risposte formulate dal software hanno come primo obiettivo non tanto mettere in atto una vera e propria contro-narrazione, come potrebbe fare un utente reale, ma attenuare i toni e sottolineare l’offensività del messaggio.

Tuttavia la componente “umana” è stata fondamentale nell’elaborazione delle risposte automatiche. Prima di tutto, tenendo sempre a mente che, «anche se nascosti dietro a una tastiera, quello che diciamo e come lo diciamo ha delle conseguenze reali» e quindi l’intervento, benché preconfezionato, può aiutare a creare consapevolezza e coscienza in merito al peso delle parole utilizzate sul web. E poi ricordandosi che quando si scrive sul web, anche sotto questa formula, «non ci rivolgiamo solo all’autore del commento in sé, il quale magari non cambierà idea grazie al nostro commento, ma a tutto il pubblico che si imbatte nel commento e che sarà portato a riflettere su queste modalità di espressione grazie all’intervento del risponditore automatico».

Anche se un risponditore automatico non è una persona, spiega ancora Stragà, «studi in psicologia relativi all’interazione uomo-macchina hanno mostrato che c’è una tendenza a percepire come umani, per esempio, anche gli assistenti vocali che in certi casi vengono considerati in maniera simile a un essere umano».

Ad oggi è ancora scarsa la letteratura, psicologica e non, sull’efficacia delle strategie di contrasto d’odio online, ma il team che si è occupato di questa delicata parte del progetto ha fatto riferimento principalmente agli studi disponibili sulle tecniche in risposta ai commenti d’odio e la letteratura psicologica relativa a come l’essere umano percepisce e interagisce con gli altri. «Per esempio – sottolinea ancora la psicologa dell’Università di Trieste – si è visto che cercare di prendere in carico la prospettiva dell’altro in una discussione, facendogli capire che lo abbiamo ascoltato e abbiamo capito qual è il suo punto di vista, può facilitare il tentativo di trovare dei punti in comune» e così può essere fatto nel rispondere a un commento d’odio. Un’altra strategia può essere quella di rispondere al commento d’odio fornendo informazioni e dati di fatto in contrasto con quando espresso dall’interlocutore, ma al tempo stesso cercare di fornirgli una vita di fuga per attenuare la situazione e condurlo a considerare informazioni in contrasto con il suo punto di vista iniziale. «Nel laboratorio di Memoria e Decisione dell’Università di Trieste stiamo testando l’efficacia di queste due tecniche di risposta, con risultati incoraggianti».

Come potranno lavorare invece le antenne? Quei ragazzi che, in collaborazione con le ong coinvolte nel progetto Odiare non è uno sport, verranno formati per intercettare e rispondere direttamente e singolarmente ai commenti d’odio? «Il lavoro sulle risposte elaborate per il risponditore automatico – continua Stragà – può essere adattato e impiegato anche per la produzione di risposte “manuali”, soprattutto quando il commento d’odio non offre grandi spunti per argomentazioni approfondite. Tuttavia, quando si risponde di persona, è possibile entrare nel merito delle argomentazioni e delle false credenze, portare evidenze e dati che confutano quello che l’interlocutore sta dicendo, sottolineare le incoerenze e i sottintesi del messaggio. Per questo ai ragazzi verranno fornite delle linee guida sul linguaggio e il tono da adottare, su come reagire nella maniera più pacata ed efficace possibile per evitare il peggiorare della situazione, e su come sia possibile adottare delle piccole accortezze per far smorzare i toni e aumentare la probabilità che le contro-argomentazioni siano ascoltate e considerate».

Soprattutto, è importante ricordarsi – conclude Stragà – che il contrasto all’odio on-line passa anche attraverso la sincera adesione a una modalità di comunicazione non-violenta e rispettosa dell’altro, ma allo stesso tempo ferma e solidamente basata sull’evidenza. Una modalità di comunicazione che dovrebbe quindi rappresentare un esempio positivo, che altri possono voler adottare, stanchi delle parole d’odio, della stereotipizzazione dell’altro, del pregiudizio e della riduzione del pensiero a slogan».

In questo senso ci viene in aiuto un’esperienza passata, che può diventare da modello ed esempio per chi vorrà intraprendere la strada di “attivista” del contrasto all’odio online. Ed è la storia di Lorenzo, studente universitario che nell’anno scolastico 2018-2019 ha partecipato con il Liceo Sesto Properzio di Assisi al progetto “Cliccando positivo”, grazie all’intervento di Forma.Azione, tra i partner del progetto Odiare non è uno sport. LEGGI LA STORIA DI LORENZO

Se vuoi diventare un Attivista anti hate speech nel mondo sportivo contatta uno dei seguenti enti (anche se non sei di una delle regioni nominate puoi comunque collaborare a distanza):