Stefano Oppo

Campione di canottaggio e solidarietà

Venticinque anni, originario di Oristano, Stefano Oppo sviluppa la passione per il canottaggio in età giovanissima, poi un’ascesa molto rapida, tre volte medaglia d’argento ai mondiali, nominato atleta dell’anno nel 2019 e ora qualificato per le Olimpiadi di Tokyo 2020. Insomma, un astro nascente dello sport italiano che però non ha dimenticato la sua terra di origine, né la semplicità di chi sa che “è importante vincere, ma non si vince da soli” “vincere o perdere è spesso imprevedibile, l’importante è sapere di avere fatto il massimo”. Impegnato da sempre nella solidarietà quest’anno si è giocato in prima persona sostenendo un progetto di prevenzione e lotta all’AIDS in Kenya dell’ong OSVIC  “perché lo sport è prima di tutto etica, è un veicolo per unire le persone, unire i popoli” e ora sogna un viaggio in Kenya per incontrare i ragazzi che ha sostenuto. L’hate speech nello sport? Secondo Stefano  “Tradisce lo spirito dello sport e non è accettabile in alcun modo. Bisogna essere inflessibili”

di Silvia Pochettino

Ma partiamo dall’inizio, come mai un uomo di mare come te ha scelto proprio il canottaggio che non è propriamente uno sport di mare

Nella zona di Oristano c’è una società storica di canottaggio anche se non è uno sport seguito da moltissima gente, mio fratello però lo praticava e io andavo a vedere i suoi allenamenti e le sue gare. Così ho deciso di provare anche io, ero molto piccolo, e da subito mi sono innamorato di questo sport 

Una bella storia familiare. Ma che cosa è oggi per te lo sport?

Ho preso consapevolezza di cosa sia lo sport durante la mia carriera, le mie gare internazionali mi hanno dato la possibilità di conoscere tantissime persone di tutte le parti del mondo. E oggi posso dire che vedo lo sport prima di tutto come un mezzo che aiuta a unire le persone, anche di nazionalità diversa, un mezzo per unire i popoli. 

Nel canottaggio, come in quasi tutti gli sport, da una parte è fondamentale l’affiatamento di squadra, dall’altra la massima performance individuale, la voglia di vincere. Nella tua esperienza cosa prevale tra lavoro di squadra e competizione? 

Io penso che in tutti gli sport la competizione sia fondamentale, in qualsiasi tipo di sport si cerca di primeggiare, soprattutto ad alti livelli. Però si può primeggiare davvero soltanto se dietro c’è una squadra forte e uno spirito che funziona, un gruppo che funziona. Dove non c’è lo spirito di squadra, dove non si va d’accordo, non si ottengono buoni risultati. 

Quindi è importante vincere ma non si vince da soli. 

Esatto. Ad esempio, mi ricordo quando sono andato a Rio nel 2016 per le Olimpiadi; quando eravamo a terra c’era un grande clima di amicizia anche con gli avversari internazionali; ma quando salivamo in barca e iniziava la gara era come – brutto da dire – come essere in guerra. Poi scendevamo dalla barca ed eravamo di nuovo tutti amici, si usciva insieme e ci si divertiva.

Tu hai sperimentato più volte l’emozione di arrivare secondo, che cosa si prova? 

Beh diciamo che arrivare secondo per me è stata una grandissima soddisfazione; magari all’inizio può bruciare un pochino ma se poi si analizzano tutti i fattori, tutti gli allenamenti che son stati fatti, tutte le fatiche di gara, si capisce che se tu sai di aver dato il massimo non puoi essere che soddisfatto. Probabilmente c’era qualcuno che era più forte di te o che ha lavorato meglio di te però io non ho nessun rimpianto perchè siamo riusciti a fare tutto quello che dovevamo crescendo ogni anno di più. 

Bello questo che dici ma purtroppo non tutti la pensano come te. Nello sport si riscontrano anche tante azioni di violenza, di rabbia, di razzismo, discorsi d’odio, secondo te qual è il confine tra il tifo sportivo e l’hate speech? 

Guarda sentire queste notizie fa male a tutti, ma da sportivo anche di più perchè si tradisce lo spirito dello sport. Vengono passati dei limiti che sono per me ridicoli. Io penso che ci sia bisogno a chi compete di prendere delle decisioni radicali quando si verificano queste situazioni. Mi viene in mente soprattutto il calcio, dove bisogna intervenire anche con i giovanissimi. Ci sono genitori che durante le partite dei figli litigano tra loro e lanciano commenti razziali inaccettabili, queste sono cose secondo me da denunciare e da limitare senza mezzi termini. Rovinano lo sport e il suo spirito. 

Tu hai assistito o vissuto situazioni di questo genere nella tua esperienza? 

Nel canottaggio direi di no. Magari qualche discussione, ma niente di questo tipo perchè secondo me sono cose che succedono principalmente negli sport più seguiti dove girano molti soldi. 

E’ così, certo. Stefano tu hai anche scelto di seguire delle cause sociali come per esempio quella dell’ong Osvic di Oristano, sulla prevenzione e la lotta all’AIDS in Kenya. Come mai questa scelta?

Ho sempre voluto fare qualcosa per il prossimo. Da qualche anno, vista la mia posizione, diciamo che ho un piccolo seguito. Per carità non sono famoso come un calciatore, però ci sono persone che mi seguono. Per questo ho iniziato a guardarmi attorno e a settembre c’è stata l’occasione di parlare con la presidente di OSVIC di Oristano che mi ha presentato il progetto in difesa dei ragazzi sieropositivi in Kenya. Mi sono ritrovato subito in questo progetto perché ha a che fare con i bambini più svantaggiati in una società in cui vengono demonizzati, dopo aver sentito i loro racconti mi sono sentito in dovere di fare qualcosa. 

Vedi un legame tra solidarietà e sport? 

Assolutamente sì perchè i valori dello sport devono essere soprattutto etici e la solidarietà deve essere al primo posto. Come dicevo prima lo sport è un veicolo per unire le persone, unire i popoli ma anche sta diventando sempre più una vetrina, per portare visibilità a chi ne ha più bisogno. 

Stefano Oppo con gli amici dell’ong Osvic

I tuoi progetti per il futuro? Che cosa ti aspetti da Tokyo 2020? 

Adesso inizia la stagione 2020 e ci sono parecchie gare dove io e il mio compagno ci dobbiamo innanzitutto riconfermare in vista delle olimpiadi, siamo a buon punto però dobbiamo lavorare ancora tanto. Poi gara per gara la nostra consapevolezza crescerà sempre di più e arriveremo pronti a luglio, ne sono sicuro. 

Se volessi lanciare un messaggio ai giovani o anche ai meno giovani che si avvicinano allo sport, che cosa gli diresti ? 

Prima di tutto bisogna vivere lo sport come un divertimento, come uno strumento di coesione. Poi naturalmente quando si entra in competizione, ma solo in quel momento lì, solo nel momento della gara, ci si impegna al massimo per vincere. Quando invece ci si allena bisogna mettere da parte qualsiasi competizione e usare lo sport come un metodo di aggregazione. 

Grazie Stefano allora noi ti facciamo tantissimi auguri e in bocca al lupo per le sfide del prossimo anno. 

Crepi il lupo, grazie a voi!

Igor Cassina

Concentrati sui tuoi obiettivi e i tuoi sogni, il vincente sarai tu!

“Guardatelo bene, è un punto esclamativo pervaso da energia, venuto dallo spazio. Si chiama Igor Cassina, e non ce n’è per nessuno”. E fu così che un ragazzo di Meda, paesino della Brianza, a cui da piccolino nessuno aveva dato speranze di poter ben figurare nella ginnastica, salì nell’Olimpo. 23 agosto 2004, Atene, il palazzetto dello sport in delirio, le parole del commentatore Rai Andrea Fusco che rimarranno nella storia dello sport azzurro. Venuto dallo spazio perché nessuno prima di lui aveva osato tanto su quella sbarra, l’attrezzo più rischioso tra i sei della ginnastica artistica maschile. Venuto dallo spazio perché solo un marziano poteva immaginare di eseguire un doppio salto indietro teso con avvitamento e ripresa dell’attrezzo, elemento inventato e affinato assieme al suo tecnico, portato per la prima volta da Igor nel panorama mondiale ed entrato di diritto nel codice internazionale dei punteggi come “movimento Cassina”.

di Ilaria Leccardi

Igor, pensi spesso al giorno della vittoria olimpica?

Mi capita di pensarci e l’emozione è sempre grande. Grande è soprattutto il mio grazie verso la mia famiglia, i miei genitori, coloro senza i quali non avrei potuto coronare quel sogno.

L’ex presidente della Federazione Internazionale di Ginnastica, Bruno Grandi, recentemente scomparso, ti ha definito un “innovatore”. I tuoi compagni di Nazionale scherzavano, dicendo che al momento giusto inserivi “il chip da gara” e non sbagliavi un colpo. Ma nella tua carriera non è stato tutto semplice.

Be’ certo. A partire dall’inizio. Quando entrai per la prima volta in palestra nessuno credeva che avrei potuto fare strada nella ginnastica. Ero longilineo, mingherlino e poco sciolto. L’esatto contrario di ciò che un allenatore di ginnastica artistica spera di trovare in un ragazzino che arriva nella sua società sportiva…

La mia forza è stato avere passione e credere in un sogno. Anche dopo gli infortuni e i momenti no.

Sono stati molti?

Della ginnastica mi sono innamorato quasi subito e il mio sogno olimpico è nato anche grazie a un grande campione, Dimitri Bilozerchev, ginnasta russo che fu vittima di un gravissimo incidente in auto, ma riuscì a tornare in gara e vincere i Mondiali. Una storia incredibile, che quando avevo dieci anni mi diede il coraggio di riprendermi da un serio infortunio e mi aiutò a consolidare gli obiettivi verso il traguardo più importante. Un altro momento difficile fu sicuramente l’anno 2006, quando per la prima volta in vita mia provai paura, la paura di eseguire il “mio” movimento, quell’automatismo che a un certo punto non sentivo più mio. Caddi in gara, durante i Mondiali, mi feci male. Decisi di fare un passo indietro, per poi farne due avanti. Abbandonai per un periodo il “Cassina”, tornai alle gare e alle medaglie. E poi lo ripresi, più sicuro di prima. E a Pechino 2008 sfiorai nuovamente la medaglia olimpica che mi sfuggì per una piccola sbavatura. Mi rifeci l’anno successivo, ai Mondiali, con il bronzo. L’ultima medaglia internazionale della mia carriera.

La tua è una storia straordinaria, coronata da un oro olimpico che era il tuo sogno di bambino. Ma non tutti coloro che puntano a un sogno riescono a raggiungerlo…

Sono convinto che più che il risultato sia necessario concentrarsi sulla serenità come elemento primario del proprio percorso. Nel momento in cui so che sto facendo tutto ciò che serve per raggiungere il mio obiettivo e il mio sogno, e lo sto facendo in maniera etica, professionale e convinta, devo essere sereno. Poi può succedere che lungo la strada trovi degli ostacoli, una giornata no, un avversario più forte, minori possibilità di altri.

Ciò che deve darci soddisfazione non è il risultato in sé, ma il percorso che abbiamo attraversato per inseguire il nostro sogno.

Insegnante, allenatore, commentatore tecnico. Dopo il ritiro dall’attività agonistica hai intrapreso tante strade. Di cosa ti occupi oggi nella vita di tutti i giorni?

Sono un coach nel settore del benessere, lavoro per migliorare le abitudini quotidiane delle persone, facendo capire loro che in maniera semplice alcune abitudini si possono migliorare e si può raggiungere il benessere, fisico ma non solo. Lavoro con sportivi per migliorare le performance, ma anche con persone comuni che vogliano raggiungere obiettivi specifici, come aumentare la massa muscolare, perdere peso, ritrovare più energia, concentrazione, evitare la stanchezza quotidiana.

Lavori per il benessere altrui, ma non hai perso la voglia di affrontare delle sfide. L’ultima si chiama maratona e nel novembre scorso ti ha riportato ad Atene, 15 anni dopo quello storico oro alla sbarra…

È stato magico tornare in quella città che nel 2004 mi aveva dato la possibilità di realizzare il sogno della mia vita. Così come era stato per la prima maratona che ho corso a Treviso nel 2016, in omaggio alla città della mia compagna Valentina, ho deciso di affrontare questa sfida per restituire qualcosa alla città di Atene. E vi assicuro che per un ginnasta correre una maratona è tutt’altro che semplice, visto il diverso tipo di preparazione fisica e allenamento. Per i ginnasti la corsa è poco più che un riscaldamento, mentre correre una maratona richiede la ripetizione di un gesto in modo costante e prolungato. Cosa a cui io non ero per nulla abituato. Ma è stata una nuova esperienza magica, vissuta poi in compagnia di alcuni cari amici e di mia sorella, che ha avuto la “responsabilità” di portarmi sulla strada del podismo. Correre i 42 chilometri di Atene, su un tracciato con 300 metri di dislivello, è stato seriamente impegnativo e molto duro. Per un paio di volte ho pensato di fermarmi per “riflettere” un attimo… mai arrendermi, ovvio! Per fortuna con me c’erano gli amici Aurelio e Simone che mi hanno sostenuto. E poi mi ha aiutato molto pensare a Riccardo, il figlio di Valentina. Spesso gli dico: “Ricky devi sviluppare l’abitudine di fare fatica, perché la fatica buona ti aiuterà a essere più forte”. E allora ho pensato: come posso tornare a casa senza aver centrato il mio obiettivo solo perché sono un po’ stanco… Così, ho recuperato tutte le risorse che avevo e sono andato avanti, fino alla fine. Da un punto di vista umano è stata un’esperienza che mi ha arricchito tantissimo, come ogni volta che mi metto in gioco per una sfida personale o di gruppo.

Dopo Treviso e Atene, prevedi di correre altre maratone?

Ad oggi non lo so, ma ho capito che con me stesso faccio fatica a dire: sarà l’ultima volta che faccio una determinata cosa. Certo, dovrei trovare come sempre una buona motivazione per intraprendere una certa sfida. Ma non metto paletti per il futuro. Tuttavia, nell’immediato tornerò in palestra per mettere su un po’ di massa muscolare.

E tornare sulla sbarra?

[ride…]

Con la ginnastica lavori ancora?

Dopo aver allenato alcune stagioni, anche in serie A dove ho condotto la società Pro Carate a vincere il suo primo scudetto in oltre cento anni di storia, ora ho seguito un percorso diverso, di vita e professionale assieme a Valentina. Tuttavia mi chiamano spesso nel settore fitness e cross-fit per tenere dei workshop. Posso mettere in campo tutte le mie competenze.

E a Tokyo 2020 andrai?

Certo, come commentatore tecnico per la Rai, al fianco dell’amico Andrea Fusco. La ginnastica mi appassiona sempre moltissimo e mi emoziona.

Veniamo al tema della nostra campagna. Tu usi molto i social, anche per lavoro. Ti sei mai trovato in situazioni spiacevoli, attacchi gratuiti?

Al di là di qualche commento o punti di vista diversi su alcuni miei post, posso dire di no, nulla di distruttivo o di critico in modo gratuito. Ma spesso mi confronto con ragazzini e adolescenti, anche nelle scuole, e mi rendo conto che i social sono un’arma a doppio taglio, da una parte ti permettono di essere connesso con il mondo, dall’altra sono anche pericolosi e bisogna avere il giusto equilibrio nel dosarli. Così come i videogame, soprattutto gli ultimi usciti sul mercato, ne esistono alcuni molto violenti e anche in casa, con Riccardo, il figlio della mia compagna, abbiamo deciso di non utilizzarli.

Meglio una giornata di allenamento in palestra…

Sicuramente. Lo sport, e la ginnastica nello specifico, possono insegnare molto. In primis la disciplina, che ti porta ad avere rispetto e attenzione alle priorità, il buon comportamento di vita che ti permette di realizzarti nella vita: fare un po’ di quella fatica buona e sana, perché la vita non ti regala niente. Lo sport ti insegna ad affrontare le difficoltà della vita.

Nel percorso di ciascuno di noi possono arrivare difficoltà o momenti che sembrano insormontabili, ma ciò che fa la differenza è la capacità di reagire. La vita è un continuo mettersi in gioco e lo sport è una scuola anche da questo punto di vista.

Tu spesso incontri i giovani, fai eventi nelle scuole, parli ai ragazzi. Cosa diresti a un ragazzino che dovesse essere vittima di bullismo o attacchi da parte di coetanei?

Se penso al bullismo sono convinto che il successo vada sempre nella direzione opposta. Gli direi che deve imparare a fregarsene, in senso buono, di ciò che le persone fanno e pensano nei suoi confronti. Non è semplice, ma il segreto è avere degli obiettivi e concentrarsi su di essi, per diventare una persona migliore. Il fatto che qualcuno ci possa trattare male, arrivare a insultarci, è spiacevole, ma è una cosa che può capitare e che dobbiamo imparare a gestire. Il che non vuol dire “abituarsi a conviverci”, ma dobbiamo imparare a reagire. E anzi, anche questo può diventare un’occasione o uno spunto di miglioramento. A quel ragazzino direi: concentrati sui tuoi obiettivi e i tuoi sogni, il vincente sarai tu!

Valeria Straneo

La maratona insegna che non esistono scorciatoie

Da sola con se stessa, a macinare chilometri sotto i piedi. Al gelo d’inverno, quando il suo stesso respiro le appanna la vista, ma l’obiettivo è talmente grande da non farci caso. Il freddo sulla pelle Valeria Straneo lo patisce, ma la preparazione di una maratona non fa sconti. Non c’è un attimo da perdere, soprattutto quando il sogno si chiama Olimpiade. Madre, gazzella, piccola donna dalla grande forza, capace di abbattere i problemi fisici e gli ostacoli che la vita le ha posto davanti, una voce squillante e la tipica “r” alessandrina a distinguerla, 43 anni e ancora tanta voglia di correre. “Non smetterò mai, mi diverte troppo”. Due partecipazioni Olimpiche alle spalle, Londra 2012 e Rio 2016, l’argento Mondiale conquistato a Mosca nel 2013 e quello Europeo vinto l’anno successivo a Zurigo. “Ora sto inseguendo il minimo per strappare il pass per Tokyo 2020. L’ho mancato di poco all’ultima maratona che ho corso a Valencia a dicembre, ma in primavera ci riproverò”. Eppure la sua storia, anche quella con la corsa, non sempre è stata semplice. La svolta è arrivata nel 2010, quando Valeria aveva 34 anni e fu costretta a sottoporsi all’asportazione della milza a causa di una malattia ereditaria che non le dava pace. Dopo l’intervento e un lungo recupero, il fisico è rinato e la corsa si è fatta più fluida e leggera, permettendo a tutto il suo talento di esplodere e portarla fino a vertici mondiali.

di Ilaria Leccardi

Il 2020 è iniziato con un obiettivo chiaro e un duro lavoro

Sto cercando di conquistarmi la terza Olimpiade, dopo le bellissime esperienze di Londra e Rio. In Brasile nel 2016 purtroppo sono arrivata con parecchia fatica, a causa di una serie di infortuni in cui ero incappata l’anno precedente. Ho chiuso sotto le 2 ore e 30 minuti, tredicesima e soddisfatta, perché in quelle condizioni più di così era impossibile. A quell’esperienza sono seguiti altri anni non semplici, con continui stop and go nella preparazione. Ma ora sembra che le cose stiano andando abbastanza bene…

Anche perché da poco più di un anno a seguirti è niente di meno che “il re” della maratona azzurra, Stefano Baldini, oro Olimpico ad Atene 2004.

L’ho sempre ammirato moltissimo prima come atleta poi come tecnico. Verso la fine del 2018 stavo vivendo un periodo di stallo e avevo bisogno di nuovi stimoli. Girando su Instagram scoprii per caso che Stefano allenava i gemelli Samuele e Lorenzo Dini. In me scattò qualcosa e mi dissi: anch’io voglio essere seguita da lui! Lo chiamai per chiedergli se fosse disponibile. E così iniziammo, non prima ovviamente di aver chiuso la collaborazione con il mio allenatore di allora, Massimo Magnani, splendida persona che mi ha compresa pienamente. Stefano mi segue a distanza, ma spesso mi raggiunge ad Alessandria, dove mi alleno praticamente sempre in solitaria, per rifinire i lavori più impegnativi.

Valeria Straneo con il suo allenatore Stefano Baldini, oro Olimpico ad Atene 2004

Sei mamma di Leonardo e Arianna, e dividi la tua vita tra famiglia e sport, passando anche lunghi periodi in ritiro lontana da casa, spesso alla ricerca di un clima migliore e meno rigido rispetto a quello invernale della pianura Padana. Sei molto in vista e ricercata dagli sponsor, testimonial di campagne sociali, ma in passato sei anche stata vittima di una serie di attacchi d’odio via social. Puoi raccontarci cosa è successo?

Dopo l’operazione di asportazione della milza ho iniziato a migliorare decisamente nella mia disciplina. Finalmente, risolto il problema fisico, riuscivo a esprimermi bene anche nella corsa. Mi sentivo sollevata, bene con me stessa, stavo veramente rinascendo. Eppure sono stata presa di mira da una serie di attacchi sui social che mi hanno profondamente ferita… Le cose che non ho letto! Questa è dopata, questa si droga, a 35 anni non può di colpo iniziare a ottenere certi risultati, è impossibile che una donna che prepara la maratona abbia questi valori del sangue… Per un periodo è stato un continuo attacco. Addirittura una persona si era accanita contro di me in modo scandaloso, arrivando quasi a sostenere che mi fossi fatta asportare la milza per correre più forte, come se fosse un alibi per assumere medicine o chissà quale sostanza… Non è stato semplice affrontare gli attacchi in rete. Era come se chi scriveva non si rendesse conto che io ero stata male, che la malattia e l’operazione mi avevano costretta giorni e giorni in ospedale. Ho dovuto affrontare un percorso difficile e pesante di ripresa. Ma la gente, dietro a una tastiera, è come se non pensasse: non cerca la comprensione, il dialogo, il confronto, gli basta vomitare astio. È un po’ come il vecchio pettegolezzo che una volta si faceva al bar, ma ora è tutto più immediato e semplice, veloce e moltiplicato all’ennesima potenza.

I tuoi figli utilizzano internet e i social?

Certo, alla loro età è ormai impossibile tenerli “sconnessi”. Utilizzano per lo più YouTube che ormai ha sostituito la televisione. Gli altri social con parsimonia. Sono abbastanza controllati da me e mio marito. Finché si tratta di utilizzarli per rimanere in contatto con gli amici bene, ma non amiamo l’abuso.

Chi vive quotidianamente uno sport ad alti livelli sa cosa sia il sacrificio. E la maratona è lo sport individuale per eccellenza. 42,195 chilometri, soli con se stessi, le proprie fatiche, le proprie emozioni. Ma quali sono i valori che questa disciplina sportiva può trasmettere? Anche per contrastare la solitudine da tastiera…

Lo sport in generale, ma soprattutto il mio sport, ti insegna che i risultati non vengono se non lavori tutti i giorni. Ti insegna che non esistono scorciatoie.

Purtroppo oggi come oggi è tutto immediato, i social e internet sono lo specchio della società come qualcuno la vorrebbe e come a volte, purtroppo, è davvero: basta un clic per acquistare qualcosa e il giorno dopo ce l’hai già a casa. Non importa cosa ci sia dietro. È come se avessimo perso la pazienza. Invece lo sport ti insegna proprio che la pazienza, il lavoro certosino, l’abnegazione quotidiana, la costanza, a volte anche la sofferenza, sono ciò che serve per arrivare al risultato vero. Un traguardo che è ancora più grande se te lo sei sudato. La maratona può essere concepita come un’esperienza di vita. Per arrivare alla felicità devi affrontare diverse prove, momenti brutti e difficili, momenti esaltanti. È un percorso.

Per la tua attività sei abituata a girare tutto il mondo e conoscere diversi contesti. Hai mai assistito a episodi di odio razziale?

Non mi è mai successo, tra noi sportivi c’è una fratellanza che ci lega, a prescindere dal luogo di provenienza. Siamo abituati a girare e ad avere a che fare con culture sempre differenti. Siamo abituati a scontrarci con avversari di Paesi diversi, ci conosciamo. Il razzismo invece scaturisce dall’ignoranza. Sulle linee della partenza e del traguardo siamo esattamente uguali, amatori e atleti. Viviamo le stesse dinamiche, l’ansia, i polmoni che si riempono d’aria prima del via. Non c’è nulla di più bello di una maratona o di una corsa per scoprire che è realmente così.