Il terzo tempo, quello dell’inclusione

Storie di squadre controtendenza e parità di genere nello sport

Di Agnese Glauda

Il 3° tempo? “E’ un momento di convivialità post-partita che coinvolge le squadre avversarie e i direttori di gara, i quali si riuniscono intorno al tavolo, permettendo così la comunicazione e il confronto tra tutti gli attori della pratica sportiva”. Questa l’idea originale promossa dalla Polisportiva San Precario, nata a Padova nel 2007 con l’obiettivo di creare una percezione dello sport alternativa alla pratica vista come competizione estrema, corruzione, business e doping. La San Precario promuove lo sport come un linguaggio universale di inclusione, nonché diritto fondamentale, e si propone di combattere il razzismo e la discriminazione guardando alla diversità come ad una grande ricchezza.

Il terzo tempo è un momento che ci ricorda che in campo si compete e al di fuori si condividono gli stessi principi dello sport: l’inclusione e lo stare insieme,” racconta Francesca Masserdotti, allenatrice e giocatrice della Sampre Volley, squadra di pallavolo nata nel 2008 e parte della polisportiva.  

La squadra di Francesca è formata da sportivi che hanno a cuore il tema dell’antirazzismo e della lotta alle discriminazioni. Negli anni sono stati ottenuti notevoli risultati, quali la vittoria del campionato a squadre miste nel 2009 e due vittorie ai Mondiali Antirazzisti.

La competizione ha un ruolo essenziale nello sport” dice Francesca, “ma deve essere centrata sulla visione di chi è più bravo come un valore aggiuntivo per la squadra e uno stimolo a migliorarsi. Lo sport veicola principi sani quali la responsabilità condivisa, che spesso viene dimenticata durante gli atti d’odio di gruppo come i cori razzisti”.

Secondo Francesca, l’odio spesso nasce da una frustrazione esterna che non ha niente a che vedere con l’ambito sportivo ma viene sfogata in questo contesto, perché considerato un momento di svago dove talvolta i freni inibitori sono allentati. L’hate speech, oltre ad essere presente in campo e durante la pratica sportiva, viene spesso legittimato dai media, che riducono lo spazio per il confronto diretto, senza dare possibilità di risposta. Chi lancia messaggi d’odio online molto raramente si rende conto dell’effetto che ha sui soggetti interessati, spiega Francesca. Soprattutto i più giovani vengono esposti tramite i social media, senza dar loro la possibilità di un confronto diretto, se non nelle scuole. La risposta deve quindi partire dall’educazione, già dalla scuola materna.

La Polisportiva promuove il dialogo sul tema del razzismo e delle discriminazioni nello sport attraverso campagne d’informazione, per far sì che i diritti di tutti gli sportivi vengano rispettati, a prescindere dalla loro etnia, genere, religione e provenienza socio-economica.

Lo sport potrebbe essere uno strumento di riscatto sociale ma al momento lo è solo per pochi,” ribadisce Francesca. “Il riscatto sociale dello sport può essere reale, perché lo sport è un luogo di inclusione ma anche di responsabilità; per cui è la sua gestione che garantisce la possibilità di rispettare qualsiasi diversità a livello socio-economico.

Giulia Merlo, giocatrice della ASD Quadrato Meticcio Femminile, squadra di calcio femminile che promuove l’integrazione, l’antirazzismo, l’antisessismo e lo sport come spazio di espressione di sé e del proprio corpo, condivide un’opinione simile. “Lo sport può diventare una forma di riscatto sociale solo se modifica il tessuto sociale, alterando dinamiche d’odio e aumentando la conapevolezza degli sportivi riguardo la loro posizione socioeconomica. E’ necessario un lavoro a livello associativo per modificare il contesto culturale.” L’ASD Quadrato Meticcio, che condivide un progetto con la Polisportiva San Precario, è infatti impegnata non solo in ambito calcistico ma anche nel sociale con attività culturali come doposcuola, cineforum e corsi di italiano, con l’obiettivo di creare una comunità intorno all’ASD che promuova l’inclusione sociale. 

Un tema che Francesca e Giulia hanno particolarmente a cuore è quello della discriminazione di genere nello sport, soprattutto a livello di riconoscimento e tutele professionali. “La San Precario ha scoperto una situazione critica che c’è in Italia, e dico ha scoperto, perché purtroppo non se ne parla abbastanza, ed è quella dello sport femminile,” dice Francesca. 

In Italia c’è una legge (l.91/81) che regola il riconoscimento degli sport professionistici, secondo le quali sono il CONI e le federazioni a stabilire quali discipline sono considerate come vere e proprie professioni. Il CONI non è chiaro a riguardo e attualmente le federazioni riconoscono solo calcio, basket, golf e ciclismo, e solo maschili. In Italia esistono però altri 56 sport e tutti i loro praticanti sono considerati dilettanti. Questo comporta che non possano ricevere uno stipendio, ma solo un rimborso spese; non ricevano contributi; non abbiano un’assicurazione; non siano tutelati per l’invalidità e per la gravidanza (in alcuni caso esistono proprio contratti associativi anti-gravidanza/maternità).

Nel 2018-2019 è stato creato un un fondo statale per la maternità delle sportive, accessibile però solo per le atlete che abbiano partecipato negli ultimi 5 anni a campionati mondiali, europei o Olimpiadi. Il lavoro fatto dalla San Precario è quello di diffondere informazione sul tema della parità di genere nello sport insieme ad ASSIST, associazione che si occupa di tutelare e rappresentare le atlete che operano in tutte le discipline sportive a livello agonistico. Assist è stata in prima linea riguardo alla creazione del fondo statale per la maternità delle sportive.

Francesca parla della situazione dello sport femminile allo Sherwood Festival 2017, Padova

L’Unione Europea si è espressa sul tema, con la Risoluzione del 5 Giugno 2003 che invita tutti gli stati membri a garantire alle donne lo stesso accesso allo sport degli uomini, a tutti i livelli e in tutte le fasi della vita. Ancor più nel caso di atlete con disabilità fisica o mentale, che dovrebbero essere maggiormente incoraggiate a prender parte ad attività sportive.

Di recente è stato compiuto un passo significativo per quanto riguarda la parità di genere nello sport. Infatti, l’11 dicembre 2019 è stato approvato un emendamento alla manovra di bilancio che stabilisce l’uguaglianza tra sportivi uomini e donne, estendendo le tutele previste dalla legge sulle prestazioni di lavoro sportivo femminile. Stabilisce inoltre un esonero contributivo del 100% per i prossimi tre anni a tutte le società che stipulano contratti alle sportive. Ora però saranno le federazioni che dovranno riconoscere lo status giuridico delle atlete come professioniste. Venti milioni di euro sono stati stanziati per i contributi nei prossimi 3 anni, cosicchè questo emendamento venga accolto dalle federazioni. E’ un primo step e ora tocca alle singole federazioni concludere i passaggi tecnici e formali  per riconoscere il professionismo. 

Anche il mero riconoscimento professionale,” aggiunge Giulia “non è sufficiente se poi si continua ad essere attaccate rispetto ad altre componenti iscritte alla femminilità.” La sua esperienza rivela alcuni requisiti contraddittori del calcio femminile, riconducibili anche ad altre pratiche sportive. “Da un lato si ricevono spesso insulti perché le donne non vengono considerate all’altezza delle prestazioni maschili, dall’altro esistono canoni estetici per cui se la femminilità manca avvengono episodi di body-shaming.” 

L’ASD Meticcio mira attraverso pratiche verbali, corporee e sportive a creare momenti di sport che mettano al centro la crescita collettiva (e personale), contrastando la violenza generata da una visione frammentaria della realtà sportiva che genera dinamiche maschiliste e sessiste.